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Verdão speranza - Il Palmeiras sul filo della retrocessione

Redazione

24.10.2012 ( Aggiornata il 24.10.2012 14:25 )

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Quanto conta la storia, in Brasile? Risposta secca: zero. Nel senso che se deve decidere di fare soffrire una squadra il destino non guarda in faccia nessuno, sbattendosene spesso e volentieri di palmares e bacheche colme d’oro. Delle cosiddette “grandi” (tradizionalmente quantificate in 12, laggiù), nel nuovo millennio hanno già subito l’onta della retrocessione in 6. Palmeiras compreso. Quel Palmeiras che attualmente, a 7 giornate dal termine del Brasileirão, è terzultimo e candidato quindi a una nuova discesa all’inferno. Volenti o nolenti funziona così, da quelle parti. Il Botafogo e lo stesso Verdão nel 2002, il Grêmio nel 2004, l’Atlético Mineiro nel 2005, il Corinthians nel 2007, il Vasco da Gama nel 2009: campionati e Libertadores gettati per un po’ di tempo in un cestino della spazzatura, prima di esser recuperati (tutti dopo un solo anno) da qualche buon’anima decisa a riportare il gigante addormentato in paradiso. E a farlo tornare quasi sempre più forte di prima, se è per quello. Ma al Palmeiras hanno paura di costituire l’eccezione, entrando in un vortice senza fine: culmine di anni di gestione approssimativa e di beghe societarie che hanno lasciato la squadra in secondo piano rispetto ai giochi di potere tra dirigenti. “I grandi giocatori non vogliono più andare al Palmeiras. Sanno che là è una polveriera” disse un giorno Alex, ex capitano del Fenerbahçe e campione della Libertadores col Verdão nel 1999, tornato proprio in questi giorni in Brasile, al Coritiba. In realtà, nella squadra fondata il secolo scorso da un gruppo di italiani la materia prima non è mai mancata. Nemmeno negli ultimi anni, nemmeno quest’anno. Ma i flop hanno prevalso. Come il cileno Valdivia, più in infermeria che in campo, o l‘ex Cska Mosca Daniel Carvalho, costantemente fuori peso. Tra i pochi a salvarsi, il Pirata Barcos, nazionale argentino che esulta coprendosi l’occhio destro con la mano, presentatosi a San Paolo con insulti a un giornalista che ne sottolineava la somiglianza con un cantante brasiliano. Con questi giocatori, nel 2012 il Palmeiras un trofeo l’ha conquistato, solo che in pochi sembrano ricordarselo: a luglio, una settimana dopo il trionfo del rivale Corinthians in Copa Libertadores, capitan Marcos Assunção alzava la Copa do Brasil, mettendo fine a 13 anni vuoti di trofei nazionali. E nel 2013 nella stessa Libertadores ci sarà anche il Palmeiras, che rischia però seriamente di partecipare come formazione di serie B, come già il Santo André 2005 e il Paulista 2006 (quest’ultimo, peraltro, si prese pure il lusso di battere il River Plate a Jundiaí, un 2-1 che da quelle parti ricordano ancor oggi con emozione). Poco importa per Assunção, che alla bellezza di 36 anni ha annunciato di non volersi fermare qui, e di avere tutta l’intenzione di far parte dell’avventura continentale. Al termine del campionato mancano ancora 7 turni, e i punti di svantaggio dalla quintultima – il Bahia – sono 6, non moltissimi. Per cui, la sensazione è che non sia ancora finita. Specialmente dopo il colpo infrasettimanale a Salvador, 1-0 nello scontro diretto firmato Betinho, colui che con un colpo di testa col Coritiba aveva certificato il successo in Copa do Brasil. Ma per ritrovare la squadra che, targata Parmalat, negli anni ’90 dominava il Sudamerica (due campionati e una Libertadores con Rivaldo, il portiere Marcos, l’ex parmense Júnior, Edmundo tra gli altri) serve un’iniezione di idee fresche. Intanto, per quest’anno la missione è quella di salvare la pelle. E l’obbligo è quello di crederci: per una squadra con la maglia verde, non avere speranza sarebbe un controsenso. Stefano Silvestri

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