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Redazione

13.05.2012 ( Aggiornata il 13.05.2012 19:03 )

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Roberto Mancini ha vinto il suo primo campionato di Premier League e c'è da pensare che non sarà l'ultimo, vista la fiducia che ha avuto in lui la proprietà del Manchester City anche nei momenti più bui e le potenzialità di spesa della famiglia Mansour, nel mondo del calcio simili solo a quelle di Abramovich. Ha vinto, Mancini, nel modo in cui ogni bambino sogna di vincere da grande, con due gol nei minuti di recupero al termine di una partita drammatica contro il QPR e beffando proprio a pochi secondi dalla fine il Manchester United vittorioso sul Sunderland. Novanta minuti più recupero che non sono stati calcio, ma cinema con una sceneggiatura perfetta. Della partita avrete già letto in ogni dove, inutile analizzare un incontro in cui la statistica dei corner dice 18 a 0 ma che l'eroica squadra di Hughes (predecessore di Mancini sulla panchina del City) stava quasi per vincere in inferiorità numerica. Adesso conta che dopo 44 anni il Manchester City sia tornato campione (erano i tempi di Joe Mercer), in uno stadio dove mai quest'anno aveva fallito (17 vittorie e un pareggio prima dello psicodramma finale) e al termine di una rimonta che in un mese ha portato i Citizens da meno otto ad un affiancamento della squadra di Ferguson che per differenza reti ha significato il titolo. E adesso? Il progetto di aggiungere qualità ogni anno non si fermerà, anche se è chiaro che di giocatori di prima fascia europea adesso ne serviranno un paio nuovi all'anno e non dieci. La lezione, che un ex grande giocatore come Mancini conosce bene, è che i calciatori di qualità trascinano i compagni: in questo quadro Zabaleta e Clichy, per citare i due difensori di fascia, possono essere più utili dei più forti Richards e Kolarov. Avendo visto quasi tutte le partite del City di quest'anno, possiamo dire che raramente i campioni di Inghilterra hanno battuto gli avversari sul piano fisico ma lo hanno fatto sfruttando a turno la classe dei propri attaccanti-mezzepunte e tenendo un ritmo relativamente basso (anche troppo). Il modulo quattro-due e pensateci voi bravi ha fatto il resto, con i giocatori offensivi che a rotazione hanno avuto il loro momento. Dzeko, che passa per essere stato una delusione, ha segnato 13 gol (fra cui quello pesantissimo del 2 a 2 con il QPR), Aguero 22 (nella memoria rimarrà ovviamente l'ultimo), Nasri 5, Silva 6, Tevez 4 in pochissime partite, il vituperato Balotelli (decisivo il suo ingresso nell'ultima partita) 13: di tutti questi solo Dzeko ha un ruolo ben definito e non a caso è l'unico che quasi certamente sarà ceduto mentre gli altri partiranno solamente se qualcuno li pagherà al loro prezzo di mercato e se Mancini lo vorrà. Pazienza se per tre mesi leggeremo di Tizio che vuole solo la squadra X o di Caio che si autoridurrà l'ingaggio pur di giocare nella squadra Y... Tornando a Mancini, siamo felici della vittoria di un uomo che in molti aspettavano al varco e che in Italia proprio per la sua onestà intellettuale è 'bruciato' presso tutti i grandi club (addirittura anche all'Inter, dove Moratti non si rimangerebbe mai la scelta fatta 4 anni fa e dove soprattutto il direttore generale Branca è un suo storico antipatizzante, fin dai tempi della militanza nella Sampdoria) e buona parte di quelli medi. Situazioni che non si possono raccontare nei dettagli ma che rendono chiara la natura di certe scelte 'tecniche' rendono Mancini una mosca bianca nel panorama degli addetti ai lavori italiani. E non perché capisca di calcio più degli altri, in questo senso essere stati campioni non sempre aiuta. Poi l'allenatore si può discutere, secondo i soliti parametri del bar: vinci e sei un dio, non vinci e sei un perdente. In Italia Mancini ha vinto, con squadre con rose di medio valore e squadre forti, in Inghilterra ha vinto con un gruppo di grandi talenti che può essere migliorato e che negli anni a venire cambierà il suo status anche in Europa. Stefano Olivari, 13 maggio 2012

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