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La solita storia dei Bolelli

Redazione

13.02.2012 ( Aggiornata il 13.02.2012 19:27 )

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Il disastroso ritorno dell'Italia maschile nel World Group, cioé la serie A, della Coppa Davis dopo oltre un decennio di assenza ha una spiegazione tremenda nella sua semplicità: i cechi sono più forti della squadra capitanata da Corrado Barazzutti, come dice chiaramente il loro ranking ATP in uno sport che è strutturalmente incapace di mentire. I numero 7 (Berdych) e 29 (Stepanek) di solito vincono quando incontrano rispettivamente il 135 (Bolelli) e 45 (Seppi), come è avvenuto nella prima giornata. Ingiudicabile, nella sua pochezza a questi livelli, il nostro doppio che ha pagato la poca attitudine di Starace e la giornata di grazia di Berdych che in 6 turni di servizio ha vinto 24 punti perdendone solo 2... E quindi? In attesa del messia della situazione, da caricare di aspettative folli (adesso è il turno di Gianluigi Quinzi, 16 anni appena compiuti), bisogna tenersi buono questo gruppo in cui a seconda dei momenti il salvatore della patria si trasforma in traditore e viceversa. Certo è che Bolelli in quell'ora di autonomia che ha avuto con Berdych, ha dimostrato ancora una volta di avere il braccio migliore di tutto il nostro tennis maschile oltre che un talento che ci fa arrabbiare per il suo spreco. Una carriera molto italiana, la sua, con il passaggio da grandissima promessa ai primi 100 del mondo avvenuto lentamente (nel 2007, a 22 anni), qualche fiammata (nel 2009 ha raggiunto il numero 36 del ranking), qualche grande occasione persa e tutto il resto della carriera che è andato di conseguenza fra infortuni, cambi di allenatore (e va detto che dopo il divorzio da Pistolesi, nel 2009, non è stato più lui) e una condizione atletica mai da standard altissimi e mai colmando alcune lacune evidenti: gli spostamenti laterali, la resistenza, la risposta al servizio. Una storia molto italiana, che però non deve indurre in facili commenti sull'indole nazionale che sarebbe poco adatta agli sport individuali: come se Tomba fosse austriaco e la Pellegrini ugandese. Una storia simile a quella dei vari Cancellotti, Cané, Camporese, Gaudenzi, Sanguinetti, Nargiso, Pescosolido, Pistolesi, eccetera, fino ad arrivare agli azzurrabili del presente: ognuno al suo livello, tutti ragazzi che sono stati davvero a un passo dal grande salto di qualità. In qualche caso è mancato lo stimolo al sacrificio, in molti altri no e quindi è assurda la demagogia sugli italiani mammoni che viaggiano poco. Noi parliamo solo di Djokovic, Federer e Nadal, ma già intorno al numero 70 del mondo, cioé di poco oltre il limite del cut-off per i tornei ATP minori, le trasferte e il finanziamento dell'attività quotidiana è un problema. Conclusione? Le federazione deve spendere il grosso del suo budget (concretamente significa pagare viaggi a fondo perduto, per giocare in ogni angolo del mondo) per la fascia che va dai 18 ai 22 anni: creare mini-campioncini prima è controproducente, mentre crearli dopo è impossibile. Twitter @StefanoOlivari

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