Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Sic, quante inutili parole

Redazione

24.10.2011 ( Aggiornata il 24.10.2011 14:07 )

  • Link copiato

di Livio Balestri È morto un ragazzo di 24 anni e alla fine è questo quello che conta davvero. Una tragedia, certo. Analizzata, sminuzzata, scomposta e ricomposta dalle telecamere sotto i cui molteplici e tecnologicissimi occhi è avvenuta. Ma ormai non è una novità, anzi dopo la morte in lieve differita ma integrale di Gheddafi (avevate mai visto un linciaggio? Ecco, è quella roba lì), eccovi la morte in diretta. Abituiamoci, abituatevi, sarà sempre più così, sempre più spunterà fuori qualche telecamera, professionale o amatoriale (ma ormai anche un banale iPhone ha una signora risoluzione) a inquadrare e a mostrarci quello che non vorremmo vedere, ma che vediamo, introdotto da frasi come “e ora immagini che non vorremmo mai farvi vedere” (sottinteso “e proprio per questo ve le facciamo vedere”). Mostruoso? Probabile. Ma appunto abituiamoci. Quello che personalmente abbiamo trovato ancor più mostruoso, e a cui — saremo dei cinici — non riusciamo ad abituarci è tutto quello che è successo dopo. Ovvero lo tsunami di emotività, pianti, ricordi, epicedi, celebrazioni. Tutti — tutti — lo dovevano ricordare, dovevano dire quant’era bravo, bello, che tragedia è successa. Il calcio ha osservato un minuto di silenzio e qualche squadra ha giocato col lutto al braccio. Ma perché? Perché ormai un minuto di silenzio non si nega a nessuno. Tra Twitter e Facebook, che ancora una volta dimostrano la loro nocività nell’aumentare la circolazione di emotività perché ognuno può scriverci esattamente quel che vuole esattamente in qualsiasi momento, sono fioriti i saluti: di Iniesta (Iniesta??), Sergio Ramos (Sergio Ramos??), Dani Alves (Dani Alves??), Ivan Basso (Ivan Basso??), Contador (Contador??), Sneijder (Sneijder?), Giuseppe Rossi (Giuseppe Rossi??), Bargnani (Bargnani??), Gallinari (Gallinari??), Jovanotti (Jovanotti??), Fiorello (Fiorello??) e altri ce ne saranno sfuggiti. Non uno che abbia pensato di tenere per sé il proprio dolore. E i giornali odierni grondano retorica come raramente. Anzi, come non raramente: ormai qualunque tragedia si trasforma in un profluvio di pagine, di lacrime, di strepiti, di urla. Basta che muoia qualcuno provvisto di almeno un minimo appeal popolare. Oltretutto, perdonateci la franchezza, è morto un ragazzo che aveva fatto del rischio e dell’accettazione (se non della ricerca) del rischio, dello spostare sempre più in là i confini e i limiti, il proprio mestiere e stile di vita, oltretutto senza protezioni dalla velocità a parte una tuta e un casco. E anche per questo era pagato profumatamente (questo è il vero cinismo secondo noi, quello di chi ti paga per farti fare qualcosa per cui puoi anche rischiare la vita). Ed era un divo, se non addirittura un esempio umano per molti. Chiariamola ancora meglio perché il punto è delicatissimo: NON diciamo che Simoncelli se l’è meritata. E un incidente come quello non deve accadere mai, ma può accadere, fa parte della fatalità, del caso, della vita che a un certo punto diventa morte. È brutto e odioso, ma è chiaro che ogni tanto succede. E anche per questo l’ondata di emotività per questo episodio ci pare fuori luogo. Lacrime, dolore, riflessioni, ricordi, va tutto bene, ma con giudizio. Di tragedie ne capitano di ben peggiori, e magari sono del tutto ignorate. In tutto questo (incredibile a dirsi) una lode va questa volta fatta alla tv, che ha sì mostrato e rimostrato le scena dell’incidente, ma dopo ha trattenuto i singhiozzi, anche da parte di chi - pensiamo a Paolo Beltramo di Italia Uno - ne avrebbe avuto motivo, essendo amico di famiglia e biografo di Simoncelli. Invece tanti sospiri, sguardi lividi, ma tutto trattenuto come è giusto e forse anche più rispettoso verso una morte. E nelle varie trasmissioni sportive un doveroso ricordo e poi la vita prosegue e la scaletta incombe. Non che la tv non abbia responsabilità verso questa emotivizzazione della nostra società, anzi ne è la principale colpevole, con la trasformazione di casi di cronaca nera da omicidi a dibattiti senza fine come quelli del calcio (e infatti ci si divide sempre in opposte tifoserie), a scavi in psicologie devastate e devastanti, a indiscrezioni e ipotesi continue, a primi piani sulle lacrime del mostro di turno, che viene assolto o condannato dal popolo sulla base della simpatia, dell’antipatia e della sensualità (quante pagine in meno si sarebbero scritte su Perugia, se Amanda non fosse stata così carina?). Garlasco, Cogne, Avetrana, Brembate, ormai basta dire i nomi dei posti per evocare canili senza fine che alla fine non portano mai alla verità. Ed è una spirale di cui non riusciamo a vedere la fine. Tra un po’ anche Simoncelli, povero ragazzo, passerà, e toccherà a qualcun altro. E sarà anche peggio.

telecommando@hotmail.it

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi