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Luis Enrique è l’allenatore giusto o sbagliato per la Roma?

Redazione

14.06.2011 ( Aggiornata il 14.06.2011 10:51 )

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Luis Enrique sarà il prossimo allenatore della Roma. Ha firmato un contratto di 24 mesi. Prenderà 1,6 milioni di euro a stagione. 41 anni e gli ultimi tre trascorsi sulla panchina del Barcellona. Quello b, però, che in Spagna (a differenza delle nostre squadre “Primavera”) disputa  regolarmente le divisioni inferiori. Come la Segunda B (la nostra serie C) nella quale Luis Enrique è riuscito a portare la squadra al 2°posto e alla promozione nella Segunda.  Competizione quest’ultima, conclusa meno di un mese fa con uno storico 3° posto, valido per la qualificazione ai playoff a cui la squadra – non potendo stare nella stessa serie del Barcellona A – non ha potuto partecipare. Luis Enrique è sbarcato nella capitale, dunque. Sponda giallorossa. L’ha voluto Walter Sabatini. E gli Americani. Una scelta impopolare, alla moda, quasi snob, verrebbe da etichettare. L’idea di fondo è di creare una squadra che sappia vincere e mettere in mostra un calcio propositivo e offensivo. L’idea di fondo, ovviamente, è anche quella di creare una copia più o meno perfetta del Barcellona neo campione d’Europa. E non importa che quella squadra può schierare contemporaneamente gente come Iniesta, Xavi o Messi. Perché i singoli sono importanti, certo, ma non fondamentali. Luis Enrique, infatti è convinto che si può giocare come il Barcellona” anche se non sei il Barcellona. In fondo, i suoi ragazzi, per tre anni non hanno fatto niente di diverso da questo. Anche se per loro – potrebbe obiettare qualcuno – era più facile, poiché avevano il vantaggio di spiare ogni giorno l’allenamento dei grandi. Questa è la sfida della nuova Roma. La base della squadra è ottima. Non ci saranno Messi, Xavi o Iniesta (sempre loro) ma la rosa ha qualità. Certo, serviranno rinforzi e Sabatini, nei prossimi giorni, si muoverà proprio alla ricerca di questi. Giovani – possibilmente -  e talentuosi. E i tifosi? La sensazione è che l’amore con il nuovo tecnico non sia affatto scoppiato. Anzi. Più che altro c’è tanto scetticismo. Luis Enrique, in fondo, come tutti gli introversi, non ha nella simpatia la sua qualità migliore. Lui, che sopporta a fatica le interviste e le parole a vuoto. Lui concreto e preciso. E dotato anche di grande carisma. Aspetto, questo, fondamentale per un allenatore. Insieme, possibilmente, a un Dna vincente: 207 presenze e 74 gol, con la maglia blaugrana. 2 Campionati spagnoli , 2 Coppe del Re, 1 Coppa delle Coppa, 1 Supercoppa Europea. Roma non è Barcellona. E’ un mondo a parte. Non migliore o peggiore. Diverso. La pressione mediatica nella capitale non è roba da poco. Luis Enrique avrà bisogno di tempo, il problema è quanto gliene concederanno i tifosi, reduci, loro, da una stagione deludente. La domanda è: nell’anno dopo la famiglia Sensi, lo spagnolo è l’allenatore giusto per rilanciare i giallorossi? Ad un’analisi superficiale potrebbe sembrare quasi un salto nel vuoto. Ma non è così, perché a Barcellona dicono che Luis Enrique sia un fenomeno vero e che si sarebbe seduto sulla panchina della prima squadra se Pep Guardiola avesse deciso di lasciare. Lusi Enrique, allenatore giusto perché? 1 – E’ giovane, ha entusiasmo, carisma e soprattutto le idea chiare su come far giocare la sua squadra. 2- Nella sua breve carriera di allenatore alla guida del Barcellona B ha sempre fatto bene. Anzi, è andato ogni volta al di là di ogni più rosea aspettativa. Vincendo e soprattutto giocando un calcio spettacolare. 3 – E’ una novità. E di conseguenza porterà alla Roma qualcosa che non ha nessun club italiano: un modo diverso di pensare il calcio. Non si sa ancora se sarà un successo o no, per il momento è una “diversità”, e non è poco. Luis Enrique, non è l’allenatore giusto perché? 1 – Non ha nessuna esperienza nel Campionato italiano. Non ci ha mai allenato e soprattutto, a differenza di molti, non ci ha mai giocato. L’impatto non sarà facile, perché in Italia, a differenza di altre nazioni europee, il calcio non è uno sport ma una fede religiosa, una rivendicazione sociale. Un senso da dare alla propria vita. Qui da noi non si stacca mai per davvero. 2 – La pressione mediatica di Roma potrebbe creare dei problemi ad una persona – come dicono – taciturna, riservata e che non ama la stampa. Gli staranno addosso e alle prime difficoltà lo crocifiggeranno. 3 – Il 4-3-3 stile Barça è un modulo spettacolare e vincente, ma, fuori dai confini blaugrana, in un campionato dove a contare sono solo i risultati, rischia di diventare un’idea utopica. A Barcellona quel modo di stare in campo è una filosofia radicata nel club dai tempi di Cruyff. E’ un modo di essere. E’ libertà. E’ indipendenza catalana, più che un semplice modulo tattico. Infatti, nel Mondo, nessuno gioca come loro.   Francesco Aquino

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