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Samp in B, 20 anni fa lo scudetto

Redazione

17.05.2011 ( Aggiornata il 17.05.2011 14:16 )

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Dopo otto anni la Sampdoria torna in Serie B, al termine di un’annata costernata da errori grossolani e partite giocate fuori dai limiti della decenza.  Il giocattolo di Garrone si rompe proprio quando sembrava l’anno buono per tornare tra le grandi. C’era pure chi aveva individuato nel capo della Erg il nuovo Mantovani, ma a dire il vero, oltre alla professione in comune, i punti di incontro non sono così tanti. E se il presidente dello scudetto ancora oggi è osannato dalla Gradinata Sud, quello attuale dovrà darsi da fare per riprendersi le simpatie di chi ora lo contesta. Nel maggio del 1991, vent’anni fa esatti, la “Sampd’oro” vinceva il campionato e i suoi gemelli del gol Mancini e Vialli davano spettacolo in tutta Italia. Celebrare questa ricorrenza oggi, può sembrare un accanimento nei confronti della Samp ma ci sembra un atto dovuto. Sicuramente, avranno una certa malinconia i suoi tifosi (che quest’anno hanno dovuto sopportare di tutto, dai gol al 90’ con Werder Brema, PSV e Genoa, alle cessioni di Cassano e Pazzini a campionato in corso, dalle dichiarazioni di Garrone ad un girone di ritorno in cui solo il Bari è riuscito a far peggio), nel rileggere queste righe di Carlo F. Chiesa che siamo andati a rispolverare. In questo articolo, comparso sul Guerino numero 21 del 1991, così si celebrava quella bellissima squadra, orchestrata da Vujadin Boskov in panchina e da Paolo Mantovani dietro la scrivania, che portò lo scudetto in Liguria, per la prima volta nel dopo-guerra. «Lo scudetto è un cuore blucerchiato. Coriandoli di “pazzia” alla napoletana sono piovuti in questi giorni su Genova, o quantomeno sulla sua metà in festa per quel titolo tricolore capace di abbattere in un colpo solo, in una felice domenica, alcuni solidissimi muri. Il primo, il più ostinato e coriaceo, si chiama proprio Sampdoria: la società più giovane del campionato negata coi suoi quarantacinque anni, per censo e dimensioni di tifo, alle aspirazioni assolute. C’è voluto un presidente ricco e di cuore, Paolo Mantovani, per prendere a picconate una simile tradizione negativa, per celebrare le nozze col successo, per costruire una dimensione da “grande” che solo un paio di lustri or sono sarebbe parso follia sperare. La seconda, poderosa barriera tra la gente doriana e la felicità chiama in causa i colori genoani. Una tifoseria per tradizione “seconda”, abituata a farsi risucchiare nei luoghi comuni che sempre l’hanno pretesa in minoranza rispetto all’altra metà del cielo genovese, è riuscita dopo decenni a scrollarsi di dosso ogni complesso, ogni fastidiosa sensazione di inferiorità. In un colpo il divario è stato colmato: dopo Coppe Italia e Coppa delle Coppe, lo scudetto rappresenta l’ultima decisiva testa di ponte per l’approdo sul terreno di parità anche per quel che concerne il blasone. Gli altri muri crollati nella circostanza – una sorta di straordinario ’89 calcistico – li ha citati a caldo Gianluca Vialli, a torso nudo negli spogliatoi dopo il trionfo col Lecce: “Questo scudetto non è una rivincita: sono sette anni che siamo innamorati di una bella ragazza di nome Sampdoria e adesso finalmente siamo riusciti a farle partorire lo scudetto. Ad un certo punto sembrava persino che l’ambiente dovesse smobilitare, vista la cronicità dei difetti che ci attribuivano e la conseguente inutilità dei nostri sforzi per arrivare al titolo tricolore. Chi è rimasto qui, in questi anni, ha pienamente meritato e sofferto questo traguardo: intendo dire chi è rimasto alla Sampdoria rifiutando offerte importanti da piazze sicuramente più facili ai successi, per poi sentirsi dare dell’immaturo o subire critiche sullo stesso sistema di vita, da qualcuno severamente censurato per la nostra propensione all’allegria. Oggi tutto questo si cancella ed è il giusto premio a tanti sacrifici”. Il “vizio di vivere” in blucerchiato esce dunque dal recinto dei peccati capitali per mostrare orgogliosamente la sua indiscutibile qualità tecnica. Forse non è un caso che lo scudetto venga a premiare questa filosofia particolare, strenuamente difesa dallo stesso presidente Mantovani (il vero centro motore del’intero universo doriano), nella stagione che ha visto esplodere il conflitto ideologico sulla compatibilità tra calcio moderno e divertimento. Oggi la Samp dello spettacolo, del gioco da belli e gaudenti, del calcio aperto al sorriso come antidoto allo stress indica chiaramente la strada vincente. Perché la qualità della sua manovra, la ricchezza delle sue soluzioni, la freschezza della sua formidabile carica agonistica hanno letteralmente schiacciato il campionato, come ben attesta il divario di punti col resto del lotto che si va delineando. Il girone di ritorno è stato scandito dagli uomini di Boskov ai ritmi impressionanti di una travolgente marcia trionfale. E proprio in questa vigorosa dimostrazione di forza il tecnico jugoslavo ha individuato, nel momento di celebrare il successo, la chiave di volta dell’intera stagione. “Abbiamo attraversato un periodo di crisi, attorno a gennaio. Le sconfitte con Lecce e Torino sembravano ricacciarci nel mucchio, dopo la strepitosa vittoria con l’Inter a Marassi. Ebbene: è stato a quel punto che la squadra ha reagito da grande, vincendo faticosamente col Cesena e poi macinando successi tra campionato e Coppa Italia”. Gli immaturi, gli eterni perdenti, i ragazzini viziati seminavano calcio e gol, calcio e gioia di vincere, calcio e attributi da uomini veri. In verità più che la pretesa “goliardia” ne aveva frenato in passato il cammino una chiara limitatezza d’organico: la rosa, stringata per abitudine (e anche per ovvii motivi economici), si dimostrava regolarmente in pari coi compiti “mordi e fuggi” delle competizioni a eliminazione diretta, ma fatalmente insufficiente quando la corsa a tappe pretendeva in scena ricambi adeguati per quantità e qualità. Non meglio degli altri anni sarebbe andata tuttavia, se dal gruppo non fossero emerse, prepotenti, le individualità di più sicuro spicco. Soprattutto la definitiva maturazione di Mancini e lo spirito di rivincita mondiale di Vialli, hanno dato alla squadra una spinta decisiva. “Quella” Samp, cioè la squadra che nel corso del torneo aveva ridimensionato ogni avversario prendendolo per i capelli negli scontri diretti, non poteva aver paura di vincere. Semplicemente, perché aveva già vinto. Più continua e convinta (e anche, ma sì, più allegra) del Milan, più tecnicamente dotata dell’Inter: la squadra che ha trionfato nella corsa a tre per lo scudetto 1990-91 si è dimostrata davvero la più forte». Giovanni Del Bianco

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