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Cinderella men

Quello NCAA è il vero basket, quello più vicino allo spirito del gioco creato da James Naismith. Una delle tante affermazioni assolutistiche e talebane di noi appassionati del genere, ma non lontanissima dalla realtà anche in quest'epoca di 'one and done' da parte di ragazzi chiaramente non pronti per esibirsi ad un livello superiore....

Redazione

31.03.2011 ( Aggiornata il 31.03.2011 10:30 )

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Quello NCAA è il vero basket, quello più vicino allo spirito del gioco creato da James Naismith (forse non a caso allenatore con record perdente). Una delle tante affermazioni assolutistiche e talebane di noi appassionati del genere, ma non lontanissima dalla realtà anche in quest'epoca di 'one and done' da parte di ragazzi chiaramente non pronti per esibirsi ad un livello superiore. Il torneo finale attualmente in corso, con le Final Four programmate a Houston nel prossimo fine settimana, ha messo in mostra tutti i pregi e tutti i difetti di un ambiente volutamente anacronistico. Dove emerge la figura dell'allenatore-santone, unico elemento di continuità in roster dove i migliori difficilmente rimangono per quattro anni, in un contesto di regole spesso ipocrite (da quella sul merchandising personale ai rimborsi spese) e facilmente aggirabili. Uno che studia da santone è di sicuro Brad Stevens, che a soli 34 anni ha raggiunto per la seconda volta le Final Four guidando un college come Butler che è di sicuro nella fascia bassa della Division I (ha circa 4.500 studenti). Pur essendo una conferma è una sorpresa in un torneo che di soprese ne ha regalate tantissime. Senza ammorbare con le statistiche copiabili ovunque, sottolineiamo quella che secondo noi è la più importante: mai nella storia del torneo finale la somma del numero di testa di serie è stata così alta: 26. La numero 4 Kentucky giocherà infatti con la 3 Connecticut, mentre la numero 11 VCU affronterà appunto Butler (8). Numeri che non si riferiscono al tabellone totale a 64 (68, considerando il turno preliminare da cui è arrivata VCU) squadre, ma al rispettivo quarto (a 16 squadre, quindi) di tabellone e quindi ancora più indicativi di quanto questa March Madness abbia sorpreso. Mai come quest'anno la bolsa retorica delle Cinderella sarebbe adeguata, perchè nella storia moderna del torneo (dalla finale Magic-Bird del 1979, diciamo) le sorprese sono arrivate da squadre poco quotate alla vigilia ma che comunque avevano una tradizione e un prestigio. Di squadre fuori dai soliti giri approdate alle Final Four vengono in mente solo la Seton Hall 1989, la George Mason del 2006, Butler e la VCU di quest'anno. Non a caso realtà piene di senior, segno che il talento non è abbondante o che perlomeno non è evidente: con tutto l'amore che abbiamo per Matt Howard, uno che non ci stupiremmo di ritrovare in LegaDue. Cosa stiamo cercando di dire, con gli occhi pallati per le troppe partite viste e gli innumerevoli time out NCAA? Che la cultura della stella mangiapalloni con la testa al prossimo draft ha contagiato anche le grandi tradizionali, quelle che non avrebbero bisogno di inginocchiarsi per reclutare i migliori liceali. Il risultato è che i piccoli trovano più spazio che nel passato, visto che dei giocatori presenti a Houston solo Brandon Knight (forse anche Terrence Jones) di Kentucky e ovviamente Kemba Walker di Connecticut avranno un futuro vero nella NBA. Stefano Olivari stefano@indiscreto.it

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