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Il migliore dei migliori

Siamo nella seconda metà della stagione regolare NBA, con l'All Star Game ormai alle porte, qualche idea sull'Mvp ce l'hanno un po' tutti. La nostra è che non si debba essere per forza originali: in molte classifiche parziali vince Derrick Rose, in effetti arrivato a un livello di maturità mostruoso, in alcune Amar'e Stoudamire che sta difendendo meglio che nel resto della carriera, nella nostra non ci viene in mente un dominio in ogni aspetto del gioco come quello che sta esercitando LeBron James con la maglia degli Heat.

Redazione

04.02.2011 ( Aggiornata il 04.02.2011 10:23 )

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1. Siamo nella seconda metà della stagione regolare NBA, con l'All Star Game ormai alle porte, qualche idea sull'Mvp ce l'hanno un po' tutti. La nostra è che non si debba essere per forza originali: in molte classifiche parziali vince Derrick Rose, in effetti arrivato a un livello di maturità mostruoso, in alcune Amar'e Stoudamire che sta difendendo meglio che nel resto della carriera (l'uso non intensivo del pick and roll da parte dei Knicks però lo penalizza un po' e gli fa forzare troppe conclusioni), nella nostra non ci viene in mente un dominio in ogni aspetto del gioco come quello che sta esercitando LeBron James con la maglia degli Heat. E non certo per i 51 punti appena segnati ai Magic, con il corollario di una statistica tirata fuori dalla Espn: per trovare un essere umano capace di metterne almeno 50, di punti, con almeno 11 rimbalzi e 8 assist bisogna risalire al 1989 e Michael Jordan. Dategli una stella che le difese avversarie devono onorare (Wade), qualche tiratore affidabile (Miller, Jones, Chalmers, House) al quale recapitare il pallone con una fucilata, un lungo sveglio come Bosh e uno che stia al suo posto (con caratteristiche diverse Dampier, Ilgauskas e Anthony che forse è il più utile di tutti): gliel'hanno dato, stanno difendendo bene e lui con un campo più aperto fa letteralmente quello che vuole quando vuole. La storia vera dovrà essere fatta nei playoff contro i Celtics in una finale della Eastern già scritta, ma l'Mvp si assegna per la stagione regolare. E LeBron ha già dimostrato cosa vale, così come i Cavs hanno fatto vedere cosa sono senza di lui. 2. La Montepaschi non vincerà nemmeno quest'anno l'Eurolega, ma a Belgrado ha dimostrato ancora una volta di essere l'unica squadra italiana di alto livello ad avere qualcosa dentro. Qualcosa che non è in commercio, ma si costruisce avendo un progetto. Senza McCalebb e Lavrinovic, cioé il 100% dell'unico gioco immarcabile del basket odierno (il pick and roll con possibilita di pick and pop, traduzione: avere il lungo che porta il blocco capace sia di andare a canestro che di allargarsi e tirare da tre, con la guardia in grado sia di penetrare che di sfruttare il blocco che origina il gioco), la prestazione difensiva della squadra di Pianigiani è stata emozionante. Zisis e il fin qui detonico Michelori su tutti, grande come al solito Stonerook al di là dei numeri in una partita che ridà speranze realistiche di quarti di finale. Un segnale di vita importante, per un basket che pensa di risolvere tutto cambiando 'progetto' ogni due settimane. 3. Il disfattismo di molti appassionati, soprattutto di quelli oltre i quaranta anni di età, si scontra a volte con i numeri. Prendiamo la leggendaria stagione 1982-83, quella di Roma contro Milano, dei pienoni, del basket italiano che dominava in Europa sia a livello di nzionale che di club, eccetera. Ebbene, la media spettatori della serie A1, comprendente i playoff, fu di 3.801. Nella scorsa stagione, quella del dominio di Siena che toglie interesse al campionato e dell'Europa che ci dà bastonate, sono stati 3.852. Con i tre giocatori più forti, o comunque più riconoscibili, che giocano in quella NBA che si può guardare anche sul cellulare...Non vogliamo dire che il basket italiano di oggi sia meglio di quello di una volta, non sia mai, ma che spesso scambiamo lo spazio mediatico per la vita reale. Se i caporedattori di una volta mettevano i tabellini della A2 e quelli di oggi per superare le 10 righe hanno bisogno di Gallinari che esce con un'attrice, la colpa non è di chi continua a seguire il basket. Della mitica 'una volta' mancano i personaggi in grado di essere conosciuti anche dalla mamma o dalla nonna, per questo Dan Peterson fa innervosire i compagnucci della parrocchietta. Ed emoziona invece noi spettatori, ma non certo perché dopo di lui non ci siano stati allenatori capaci. 4. Si stava meglio...adesso. Dopo decenni di pareri da bar sparati guardando una ventina di partite NCAA all'anno, Espn America e il web ci consentono di parlare del nostro basket preferito (nel senso di più vicino, teoricamente, allo spirito del gioco) con quelle tre persone che conosciamo interessate all'argomento. In altri tempi avremmo preso per oro colato i ranking, che invece hanno molto in comune con quelli della boxe: generati da confronti con avversari diversi, in contesti diversi, esistono solo per far discutere e per dare alla commissione della NCAA qualche elemento in più di scelta per il tabellone del torneo finale (per cui sono qualificati di diritto solo i campioni delle conference). Fra le squadre che seguiamo con una certa assiduità, anche perché ci hanno giocato alcuni idoli d'infanzia (Kreso Cosic, Fred Roberts, Danny Ainge), c'è di sicuro Brigham Young: ovvia quindi la predilezione per Jimmer Fredette, la guardia senior che per talento e personalità è molto di più della solita guardia senior bianca di BYU. Capocannoniere dell'intera NCAA ma sempre sotto controllo, con il suo 1,87 Fredette ad ogni azione sfida le difese avversarie (anche contro Wyoming, pessime percentuali ma protagionista in quasi tutte le giocate decisive) alternando a tiri da metà campo entrate alla Tony Parker: ma dove la stella degli Spurs accelera lui rallenta, evitando la 'crema' con un controtempo che ricorda quello di Nick Galis. Ecco, Fredette va guardato, a parole non sappiamo rendere l'idea. Quello che volevamo dire è che è incredibile che Brigham Young sia considerata la squadra numero 9 della nazione, con tutto il rispetto per una squadra mai andata oltre le Elite Eight (nel 1981, l'anno da senior di Ainge). Leggendo di questo ranking e delle statistiche di Fredette una volta avremmo sognato, adesso no. Meglio adesso, diciamo con il dolore dei professionisti della nostalgia. Stefano Olivari stefano@indiscreto.it

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