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La parrocchietta spiazzata da Armani

Bieca operazione nostalgia, astuzia di marketing del maestro Armani, ombrello per Proli che avrà qualche mese per ingaggiare un allenatore da prima fascia europea, salutare scossa a giocatori convinti che in Italia sia impossibile fare meglio del secondo posto e peggio del secondo posto: tutte spiegazioni credibili del grande ritorno in panchina di Dan Peterson, ma senz'altro meno interessanti dei suoi effetti positivi sul basket in generale...

Redazione

05.01.2011 ( Aggiornata il 05.01.2011 13:14 )

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Mai tornare dove sei stato felice, ricordano i saggi. Però Dan Peterson che torna ad allenare l'Olimpia Milano dopo quasi un quarto di secolo di inattività attiva ci commuove, siamo fatti così. Bieca operazione nostalgia, astuzia di marketing del maestro Armani, ombrello per Proli che avrà qualche mese per ingaggiare un allenatore da prima fascia europea, salutare scossa a giocatori convinti che in Italia sia impossibile fare meglio del secondo posto e peggio del secondo posto: tutte spiegazioni credibili del Grande Ritorno, ma senz'altro meno interessanti dei suoi effetti positivi sul basket in generale. Se l'ingaggio di un 75enne, sia pure dal passato glorioso, ha guadagnato le prime pagine di quotidiani politici come non avevano fatto nemmeno tutti gli scudetti di Siena messi insieme questo significa che la pallacanestro italiana ha buttato via le ultime 15 stagioni. La sentenza Bosman ha infatti generato non solo da noi una perdita di identità e un professionismo da NBA sfigata che ha tolto interesse al campionato senza alzarne, anzi, il livello tecnico. Non è certo questione di stranieri o italiani, ma di gente che si senta coinvolta in qualcosa che duri almeno qualche anno. Non è quindi l'effetto nostalgia che ci fa ricordare meglio il roster della Scavolini 81-82 rispetto a quello dell'attuale, ma l'idea di qualcosa di rappresentativo e di coinvolgente. Non è un caso che alla domanda sui cambiamenti negli ultimi decenni di basket Peterson abbia risposto non con facili considerazioni tecniche (abuso di pick and roll, quasi scomparsa della zona, necessità del 'quattro' che tira da fuori, eccetera) ma citando la sentenza Bosman e i procuratori che fanno le squadre al posto dei direttori sportivi. Per adesso l'effetto Peterson si è visto soprattutto a livello mediatico, per uno sport che ai tempi d'oro (il termine 'heyday' ci emoziona più di apogeo, non per esterofilia ma per il suono) di Peterson vedeva pubblicati sui quotidiani generalisti i tabellini della A2. Un aspetto davvero importante è che, stando ai commenti sui blog e sui siti dei giornali, ad entusiasmarsi siano tifosi di tutte le squadre. Non solo vecchi che non vanno più al palazzo ma anche giovani che conoscono solo il Peterson telecronista Sky e ultimamente SportItalia (noi purtroppo abbiamo l'età per averlo visto anche su Prima Rete Indipendente, prima del passaggio della NBA su Canale 5 nel 1981), non solo nostalgici ma anche giovani appassionati che non riescono ad appassionarsi a 20 secondi di masturbazione della palla seguiti da un gioco a due. Se gioco basic deve essere, tanto vale vedere quello dei fenomeni: senza senso di appartenenza mille volte meglio LeBron di Finley (peraltro bravissimo giocatore, ma vittima del sistema e del bolso esperto che fin da prima di Naismith ricorda che 'ci vuole un regista'). Abbiamo notato il fastidio con cui molti addetti ai lavori del basket stanno giudicando il ritorno di Peterson, senza nemmeno bisogno di leggere fra le righe. Si va dal cronachistico 'E' vecchio' allo scherno puro, passando per la ovvia realtà del traghettatore senza prospettive. Probabilmente c'è chi preferisce fare ragionamenti astrusi su comunitari e passaportati che parlare di basket, di sicuro c'è paura che la gente normale possa entrare nella parrocchietta. Senza un progetto non si va da nessuna parte, ma soprattutto la gente non si affeziona a ragazzi con contratti di due mesi. La stessa Olimpia ha rischiato più volte di fallire, finendo in mano a personaggi improbabili (la coppia Caputo-Joe Bryant quella più di culto) e venendo salvata nel momento più buio (2002) dal vituperato Giorgio Corbelli: mestierante dell'imprenditoria sportiva in negativo ma anche in positivo, avendo una chiara nozione di quanto costi il basket e di quanto sia difficile proporlo in una grande città. Il presidente Proli si è assunto la paternità della decisione, che come spirito però ci sembra più da Giorgio Armani: un proprietario che si è lamentato spesso per la freddezza del pubblico e mai per il livello (fra l'altro scadente, in rapporto al materiale umano a disposizione) del gioco di Bucchi. Uno che di basket non capisce niente, Armani, come dicono quelli della parrocchietta dandosi di gomito (loro sì che capivano le strategie dei Martinelli e degli Amodio), ha alla fine fatto la scelta più di basket che fosse possibile fare. Non è tornato un vecchio coach, è tornata un'idea. Stefano Olivari stefano@indiscreto.it

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