Nei fallimenti delle società calcistiche il confine fra vittime e carnefici è molto sottile, spesso nemmeno la giustizia ordinaria riesce a dirimere questioni che hanno origine in accordi presi solo verbalmente al ristorante fra un piatto di tagliatelle e una spigola con patate. Non tutti sono Paolo Mantovani che alla Sampdoria rispettava accordi scritti su un tovagliolo (accadde per Toninho Cerezo e tanti altri).
Per questo è facile dare al crack della Reggiana nel 2005 il volto di Nando De Napoli, l'unico volto famoso della vicenda: solo che l'ex azzurro della Nazionale di Vicini (ma era anche in Messico con Bearzot, uno dei pochi giovani di quella spedizione) e del Napoli più forte di sempre sostiene di essere parte lesa essendo fra l'altro stato ammesso al passivo del fallimento per un milione e mezzo di euro (a tanto ammonta il suo credito).
L'unica certezza è per il momento al condanna dell'ex amministratore delegato Ernesto Foglia, che ha patteggiato in tribunale a Reggio Emilia quattro anni e dieci mesi per il crac della vecchia Reggiana dichiarata fallita il 13 luglio 2005. Foglia, imputato di bancarotta fraudolenta, attualmente fa l'antiquario a Parigi. Fra un mese e mezzo circa, quando la pena sarà diventata esecutiva, dovrà tornare in Italia e sarà affidato in prova ai servizi sociali per un anno e 10 mesi.
E De Napoli? Insieme ad altri due consiglieri dell'epoca, l'ex presidente Federico Spallanzani e il dentista Claudio Zambelli, ha ottenuto il rito abbreviato che si svolgerà davanti al Gip il 4 novembre (sempre di bancarotta fraudolenta si parla). La morale? Tutti si dichiarano vittime, come è sempre avvenuto da Calciopoli alla vicenda delle fidejussioni taroccate. La morale bis? Il calcio può essere utile ad altri affari (magari anche puliti, fino a prova contraria), ma non essere l'affare da cui trarre il reddito. La morale tris? Non ci si può improvvisare centrocampisti da nazionale, ma nemmeno finanzieri.