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Sinner, Arnaldi, Sonego e tutto il gruppo azzurro hanno riportato la Coppa Davis in Italia dopo 47 anni. Viaggio alla scoperta dei protagonisti di un’altra pagina di storia del nostro sport

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Il presidente della Federtennis «Nel 2024 tre idee per crescere ancora»

Binaghi

«La Coppa Davis è l’inizio di un’epoca»

Angelo Binaghi ha costruito il capolavoro che tutti ammiriamo in 22 anni di lavoro incessante e innovativo per una federazione. Un lavoro inizialmente controvento pure, nelle difficoltà evidenti. E adesso pensa già in prospettiva.

Presidente, ci racconti la sua emozione. «Incredibile e irripetibile, condivisa con milioni di telespettatori, una vittoria che mancava da tanto. L’impresa sportiva di cinque ragazzi straordinari, sei perché ci metto Matteo Berrettini che ha seguito la squadra a Bologna e a Malaga seppur infortunato. Credo che questa sia una squadra di valore umano e sportivo irripetibile. E siccome la squadra è giovane, è solo l’inizio: abbiamo davanti 15 anni di grandissime emozioni»

Ragazzi speciali di una generazione diversa dal passato. E di un movimento in costante crescita.

«Se devo riconoscere un nostro merito, è aver alzato il livello e aver condotto campagne educative, dal passaggio ai centri estivi obbligatori per quelli che devono fare i tornei a squadre, per esempio. E abbiamo lavorato anche con la scuola maestri, inserendo nel contratto l’obbligo di trasmettere ai ragazzi i principi: il merito, l’aspetto etico e morale. La tv ci ha aiutato a divulgare questi valori. Più che per altri motivi mi sento padre del valore umano che questi ragazzi esprimono, figlio delle loro famiglie ma anche del contesto in cui abbiamo inserito la crescita dei ragazzi, dando indicazioni, insegnamenti, regole che ne hanno fatto uomini veri, ragazzi encomiabili, capaci di trasmettere valori».

La Davis, il successo clamoroso di Roma e delle Nitto ATP Finals, la finale di King Cup, i tornei vinti, i 18 giocatori nei primi 200. E per di più, da prima federazione che ha creato una propria tv (Supertennis), il primo Slam trasmesso n chiaro sulla vostre rete. Che significa promozione.

«Se me lo avessero detto non ci avrei creduto, una tv non commerciale che trasmette addirittura uno Slam. Sinner ha vinto 4 tornei, le donne vice campioni del mondo. Il padel che esplode, Internazionali da record. Le Finals che sono state il migliore e più grande spettacolo sportivo indoor. A proposito del momento, credo che tra i maggiori beneficiari ci sia Torino. Le Finals valgono di più non solo rispetto a prima di questa edizione, ma di prima della Davis. Il prodotto ha avuto un’impennata. E noi partiremo con la biglietteria per il 2024 ancor più in anticipo, il 15 dicembre con due giorni di prelazione per i tesserati Fitp, a un costo inferiore del 20%».

Appunto, non si può alzare l’asticella.

«Invece no. Noi siamo ancora secondi in tutto: in Italia dopo il calcio, poi siamo secondi nell’organizzazione dei tornei perché non abbiamo uno Slam, secondi nei risultati perché della giovane generazione per ora c’è Alcaraz davanti. Dobbiamo cercare di arrivare primi. E ci sono tre vie. La prima è la scuola: investiremo 8 milioni, insegneremo tennis a oltre 400 mila bambini, offrendo 15 lezioni gratuite ciascuno. Poi favoriremo l’attività delle società, aboliremo per la prima volta le tasse d’iscrizione a campionati giovanili e a squadre. Per le società sarà gratuita l’organizzazione di ogni torneo. Le società virtuose non pagheranno tassa campo né di affiliazione. E come iniziato sul territorio piemontese, contribuiremo alla costruzione di campi pubblici per tennis e padel nei comuni medio piccoli in Italia. Diffondere la pratica sportiva è l’obiettivo»

Una squadra giovane, con Arnaldi novità dell’anno.

«Arnaldi ha conquistato un punto chiave giocando forse la sua peggiore partita dell’anno. Perché oltre alle qualità tecniche, ha una capacità innata di lottare. Però mi permetta un pensiero per Fabio Fognini, che nello stesso giorno ha vinto un bel torneo challenger battendo Ramos Vinolas e Bautista Agut, il che gli consente di tornare a ridosso dei 100 per stare dentro i tabelloni negli Slam. Fabio è un patrimonio del tennis italiano. Il nostro tennis ha bisogno di tutti, di chi negli anni in cui non avevamo fenomeni ha fatto prestazioni eroiche per tenere la squadra italiana ad alto livello».

Una squadra lunga, permetterà a Sinner, che deve pensare a grandi obiettivi, di rinunciare a qualche tappa, senza che si ricada in pretestuose polemiche.

«Vorrei sollecitare tutti, partendo dai grandi ex campioni come Pietrangeli, fino agli altri che ora esultano, di rileggersi le dichiarazioni di due mesi fa e riflettere. Per noi non è cambiato nulla. L’avevo detto a Bologna. Il nostro obiettivo non è vincere la Davis, ma avere un giocatore che sia nei primi tre per i prossimi 10 anni, vinca gli Slam. Questo ci cambia la storia, non una Coppa Davis. Ne arriveranno altre di conseguenza. La seconda considerazione è che noi dobbiamo riuscire ad adattarci alle nuove esigenze, adattare i principi fondatori per cui la Nazionale è la Nazionale, a un giocatore e magari più di uno tra i primissimi nel mondo. La storia dice che sono esigenze difficilmente compatibili oggi, ricordate Nadal, Federer e Djokovic. Dobbiamo tenere vivo il principio della Nazionale, dando risorse, strumenti, struttura ma guardando alla programmazione individuale di super professionisti super impegnati super stressati dal punto di vista fisico come i campioni del tennis di oggi. Una situazione nuova per noi che va risolta con una visione differente, compresa la disponibilità del gruppo a capire. E il ruolo del capitano, pur avvantaggiato dalla qualità, si complica. Belle problematiche di una nuova era che grazie a Dio abbiamo affrontato bene. Se avessi seguito quei giornali, quegli opinionisti, quei campioni non saremmo qui. Ho fatto la scelta che la mia coscienza imponeva. La decisione che ha massimizzato i risultati della Nazionale, i risultati e le ricadute promozionali del tennis nel Paese. La raccomandazione, già data allo staff di Sinner e poi al mio interno, è stare con i piedi per terra. Su Sinner non ho dubbi, ragazzo, umile, semplice, di grande etica, molto più intelligente e profondo di quanto voglia far passare. Dobbiamo seguire la strada di questi 20 anni, trasformando tutto questo in un prodotto di valore sempre crescente, che moltiplichi risorse e praticanti».

di Piero Guerrini

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Il tennista altoatesino è stato il trascinatore della nostra Nazionale a Malaga

Super Sinner: per noi è già il numero 1

Nel ranking è ancora al quarto posto ma in Spagna ha giocato come se fosse al primo battendo Djokovic e costruendo un vero doppio con Sonego: ora non lo ferma più nessuno

Jannik Sinner non è più il peccatore. E un po’ mi dispiace. Ma il vento della Davis appena vinta soffia forte, e finisce per strappare dalle nostre mani alcune delle parole, immagini, o convenzioni sul nostro Semola, con cui ci baloccavamo dall’inizio della sua vicenda, e alle quali eravamo affezionati. Per consegnarne altre alla nostra attenzione, però, frutto delle molte indagini e rivisitazioni che si sono fatte del ragazzo che “tremare il tennis fa”, con un servizio molto più efficace e il gioco di volo migliorato. Lo hanno già scritto da qualche parte, mi sentirei di dire in una lettera giunta a un quotidiano nazionale, che sinner – con o senza maiuscola – significa peccatore nella lingua inglese, ma non in quella tedesca, che Jannik parla correntemente, come quasi tutti in Alto Adige. In tedesco sinner sembra possa discendere da sinnen, che vuol dire ben altro. Meditare, riflettere, progettare. Ne sorte che Sinner è il Riflessivo, il Cogitabondo, e certo – nomen omen – calza meglio con ciò che sappiamo di lui e che mostra di essere. E non è detto che un Riflessivo, non possa trovare il tempo di peccare. Glielo auguro. Così, Sinner il Progettista, ha preso il tennis nelle sue mani e non è cosa da poco, perché rischia (ma è davvero un rischio?) di andare oltre le considerazioni che in queste giorni fischiano nelle orecchie di tutti noi. Le riassumo… Sarà numero uno, non subito ma presto. Anzi, lo è stato di fatto già in questi ultimi due mesi, cinquantatre giorni che vanno dal successo su Alcaraz nella semifinale di Pechino alla vittoria in Coppa Davis, che gli sono serviti per spazzolare a dovere la testa della classifica mettendo in fila Medvedev (tre volte), Djokovic (due volte su tre, doppio a parte), poi lo stesso Alcaraz, Tsitsipas, Rublev e Rune. Infine è arrivata la Davis, e con essa un’altra certezza. Una squadra di ventiduenni (ventuno per Musetti, prossimo papà) che con l’aggiunta di Sonego e di un ritrovato Berrettini – nella speranza che si ritrovi davvero, e presto – può aprire un ciclo di vittorie che l’Insalatiera ha consentito solo in tempi lontani agli Stati Uniti, all’Australasia e alla Francia. E se non bastasse altri ragazzi emergenti premono alle spalle.

PREDESTINATO

C’è un progetto chiaro dietro questi dati, oggi allo stato di premesse (e anche di promesse) da verificare. E credo sia quello che dovrebbe più di ogni altra cosa inorgoglire chiunque sia appassionato di tennis e di sport, perché rivela il vero carattere di questo ragazzo che stiamo incensando e insieme scoprendo. È il suo Progetto, l’ha costruito un pezzo alla volta, l’ha studiato e confezionato a sua misura con l’identica testardaggine che gli ha permesso di sopravvivere ai tre match point recuperati a Djokovic nella sfida di Malaga. Deve averci riflettuto non poco, e ritengo sia logico supporre che questa sia stata anche la fase più difficile, e forse dolorosa per lui. Perché poteva prendere vita solo da uno strappo, una frattura con chi amorevolmente (e con indubbie capacità) lo aveva cresciuto e poi avviato al tennis che conta.

UOMINI CHIAVE

Quando Sinner è giunto alla rottura con coach Piatti, e se n’è andato dal centro di Bordighera che lo ospitava ormai da sei anni, aveva ben chiaro il perché lo stava facendo e come dar vita al progetto. Voleva prendere in mano se stesso, e scusate se è poco. Aveva venti anni quando il distacco è avvenuto. Ma Sinner voleva affrontare la propria crescita, e curarla in prima persona. Servivano dei consiglieri, meglio se amici. Li ha trovati in Simone Vagnozzi, ha allargato la compagine con Darren Cahill, ed è stato lui a cercarlo e sollecitarlo, fino a farlo muovere alla sua volta da Adelaide. «Mi devi insegnare come si gioca sull’erba», gli ha detto, ma già sapeva che l’avrebbe tenuto come Supercoach, l’uomo dei consigli che possono cambiare un match. E non si è fermato qui… Ha trascinato con sé l’amico Alex Vittur, altoatesino come lui, trentanovenne con esperienze manageriali nel turismo e nella gestione delle Funivie di Plan de Corones. Ne ha fatto una sorta di Road Manager. Mentre si è affiancato all’organizzazione di Lawrence Frankopan, capo della StarWing Sports Management che ne cura i contratti e intende farne una griffe dello sport futuro. Infine ha scelto il team, e l’ha in parte cambiato fino a dargli il volto attuale, con la presenza di Umberto Ferrara, preparatore atletico che lo segue anche nell’alimentazione, Giacomo Naldi fisioterapista che ha lavorato nel basket con la Virtus Bologna, e Andrea Cipolla, osteopata. E per finire non un mental coach con il quale si parla direttamente ma, come ha spiegato a Torino: «Sto lavorando con il progetto chiamato Formula Medicine, nato in F1. Il capo è Riccardo Ceccarelli. Non parliamo tra noi direttamente, ma si fanno esercizi sul computer: poi loro calcolano quanta parte di cervello hai utilizzato e tutto il resto, poi ti aiutano a fare la stessa cosa nel modo più automatico e meno dispendioso possibile. Ti concentri su delle cose per capire cosa è successo, il perché e tutto il resto. Stiamo lavorando con lui già da alcuni anni e mi rendo conto di essere migliorato». Ha descritto la propria filosofia con tre parole, il Riflessivo: «Capitalizzare ogni gesto». Come? «Sono pronto a dare sempre il cento per cento di me stesso». Più variopinta la descrizione attraverso l’esempio di un piatto di pasta. «Se voglio ottenere il piatto che piace a me, provo a farlo in un modo. Se non va aggiungo un ingrediente. Il pomodoro per esempio. Se è troppo lo rifaccio e ne tolgo un po’. Poi aggiungo il basilico, e così via. Facendo attenzione a non mettere troppo, altrimenti il piatto non è più buono». Divertente, ma anche laborioso. Togliendo e aggiungendo pomodori, però, Sinner con la sua storia si è fatto latore, forse inconsapevole, di un messaggio che potrebbe essere rivolto a tutti i ragazzi della sua età. “Scegliete ciò che vi piace, ciò per cui siete dotati, ciò che sentite dentro di voi, e poi lavorateci con accanimento, con sacrificio, studiando come migliorare il prodotto, che alla fine siete voi stessi”. Lo traduco così. E lo ritengo un bel messaggio. Positivo. E anche questo da numero uno.

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LORENZO HA TENUTO IN PIEDI L’ITALIA NELLE QUALIFICAZIONI

Sonego: cuore Toro senza limiti

Decisivo a Bologna in singolare, è diventato subito il compagno perfetto di Sinner in Spagna 

Come negli spettacoli pirotecnici di gran livello il meglio è arrivato alla fine. Così Lorenzo Sonego, al termine di una stagione con tanti alti e bassi, partito n. 45 e arrivato al 47, è diventato uno degli eroi di Davis Cup, fondamentale nelle d ue uscite vincenti da doppista, a fianco di Jannik Sinner. Sonny aveva toccato l’apice con gli ottavi di finale al Roland Garros e in Coppa Davis nella prima fase disputata a Bologna. L’energia positiva accumulata a Malaga sarà il giusto propellente per iniziare il 2024 con l’obiettivo di riavvicinare il best ranking di numero 21 ATP nel 2021. E le immagini di lui vittorioso contro il doppio olandese e quello serbo con in campo il numero 1 del mondo Novak Djokovic difficilmente le potrà dimenticare. «Questi giorni li porterò sempre nel mio cuore, indimenticabili sotto ogni punto di vista, tecnico e personale. Ho sempre voluto far parte della Nazionale ma vincere la Davis è andato al di là di ogni mia aspettativa e l’ho fatto da protagonista all’interno di un gruppo fantastico che si è costruito negli ultimi anni e al quale ognuno di noi è molto legato».

PROTAGONISTA

Senza le vittorie di Sonego a Bologna contro il Cile, in singolare e doppio, e poi con la Svezia, l’Italia non sarebbe neppure arrivata a giocare la fase finale a Malaga. «E poi ricorderò i match point annullati a Jarry, autore di un gran 2023 e giocatore temibilissimo al servizio. È stato un passaggio fondamentale nella nostra stagione in Davis. Poi il successo in doppio con Musetti e la strada che si è riaperta». In Spagna sono stati molti i momenti chiave della trasferta. Ma il più bello è uno: «Senza dubbio l’ultimo, quando abbiamo capito che avremmo alzato la coppa dopo il successo molto complicato ma fortemente voluto di Matteo Arnaldi e l’ennesima cavalcata vincente di Jannik Sinner». Anche il più difficile è impresso: «Quando Jannik ha dovuto salvare tre match point consecutivi a Novak Djokovic, il numero 1 del mondo e fresco vincitore delle Nitto ATP Finals nella mia Torino proprio contro il nostro numero 1». Con Sinner c’è un rapporto particolare. «ll feeling è stato immediato, quando ci siamo conosciuti. Siamo due persone semplici e forse proprio per questo tutto è diventato più facile. Anche fuori dal campo i nostri team si confrontano spesso e nei momenti di relax durante i tornei una partita a burraco o una sfida alla play station non ce la neghiamo. Avevamo giocato solo due match di doppio, quasi per scherzo. A Malaga abbiamo fatto sul serio e capito che i nostri giochi si completano. Lui è migliorato molto quest’anno nei pressi della rete e io in fase di risposta. Entrambi serviamo bene e strapparci la battuta per chiunque non è semplice. In più l’essere affiatati aiuta. Nei momenti delicati di uno arriva il sostegno anche morale dell’altro e i risultati si sono visti. E io non ero fisicamente al massimo, mi ha aiutato». Vinta la Davis il primo pensiero e la prima dedica è andata, «a tutti gli italiani, appassionati di tennis e di sport che aspettavano da tanto tempo. Ovviamente alla mia ragazza, agli amici di sempre, alla mia famiglia, al coacg Gipo Arbino». La forza del gruppo può veramente fare la differenza. «Ognuno di noi, in campo, in panchina, negli spogliatoi, ha dato il massimo senza risparmiarsi. È veramente la dimostrazione di dove si possa arrivare tutti insieme».

LOTTATORE

Lorenzo fa della grinta, della determinazione e della voglia di lottare, le armi per essere un protagonista nel tennis con l’obiettivo costante di migliorarsi. Il suo amore per lo sport ha radici lontane: «Fin da piccolino, quando avevo 4-5 anni, inseguivo e calciavo una palla non appena mi si presentava l’opportunità. Ero molto appassionato di calcio e tifavo, come oggi, profondamente Toro, un trasporto verso i colori granata ereditato da mia nonna. A sei anni, accompagnato dai miei genitori, feci un provino nel Torino e mi presero, aumentando così l’amore per il pallone, facile da assecondare anche perché il campo era vicino a casa mia. Divertimento, gioco erano le chiavi». Poi è arrivato il tennis. «Differente l’ambiente con rapporti ancora più stretti, a dispetto di quanto si possa pensare, rispetto a quelli del calcio. Gli amici e le conoscenze che ho fatto in tanti anni sono rimasti tali mentre quelle “calcistiche” le ho perse quasi tutte. I rapporti personali sono sempre stati molto importanti per me e probabilmente anche per questo la scelta definitiva della strada da percorrere si è rivolta verso le racchette». Cosa significa amare tanto quello che si fa? «Aiuta a non abbattersi quando sorge qualche difficoltà. Permette inoltre di vivere le esperienze in modo totale, apprezzando anche le novità come le località dei tornei, a volte con caratteristiche radicalmente diverse rispetto a quelle che siamo abituati a vedere». Ci sono stati anche momenti delicati da superare? «Non direi perché ho sempre cercato di vivere il presente apprezzando ciò che mi stava capitando. Le maggiori difficoltà sono oggi, perché il mio carattere si è evoluto in sinergia con le esperienze accumulate, è maturato il confronto con me stesso. Per raggiungere gli obiettivi prefissati è necessario soffrire e fare anche cose che non sempre ti esaltano o comunque ti piacciono meno, come gli allenamenti. Ma solo attraverso il sacrificio e il raggiungimento di una preparazione perfetta si può salire di livello e reggere i ritmi che il tennis moderno e lo sport in generale impongono. Ciò che più amo è il percorso che ti conduce alla vittoria, quindi ogni punto conquistato sul campo, attraverso la lotta e il sudore. Alla fine, quando realizzi l’obiettivo, è musica vera». La musica che ama. Un suo amore particolare è per la maglia azzurra e la Coppa Davis. «Forse perché provengo da uno sport di squadra mi piace molto competere per una causa comune e condividere i sacrifici e le gioie con i compagni di avventura. Quando sono stato chiamato ho sempre cercato di dare il massimo. E la gioia del risultato è moltiplicat

Di Roberto Bertellino

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La rinascita dopo una stagione in chiaro-scuro

MUSETTI RIPARTE DA MALAGA

È stata una stagione di cambiamenti, nella prossima sarò più esperto

Lorenzo Musetti è di diritto nella storia del tennis italiano, così come tutti i suoi compagni e il capitano Volandri, per la vittoria della Coppa Davis. Un successo del genere, il secondo di sempre degli azzurri a 47 anni dall’ultima volta, non può che far ascendere tutti i protagonisti all’Olimpo del tennis nazionale. Musetti probabilmente in cuor suo avrebbe voluto festeggiare contribuendo anche in campo a questo incredibile traguardo, ma purtroppo non ci è riuscito. L’unico incontro giocato dal toscano a Malaga è stato il primo della semifinale contro la Serbia, che l’Italia ha dovuto ribaltare proprio per la sua sconfitta in tre set contro Kecmanovic. Complice una condizione fisica non ottimale – e sul finale della sfida si è notato – e un periodo non fortunato dal punto di vista dei risultati, Musetti non era andato in scena sul cemento spagnolo nei quarti contro l’Olanda facendo spazio ad Arnaldi. Il numero due della spedizione azzurra (n.27 Atp) era stato chiamato in causa solo contro Kecmanovic, vincendo il primo set al tie-break mostrando anche sprazzi del suo tennis elegante ed efficace, prima di calare alla distanza nei successivi parziali persi rispettivamente con il punteggio di 6-2 e 6-1.

PRIMA DI MALAGA 

A Bologna, nella fase a gironi, lo scenario era stato molto simile. Il ventunenne, numero uno della squadra vista l’assenza di Sinner, era sceso in campo in singolare solo all’esordio contro il canadese Diallo rimediando una sconfitta. In quel caso però il carrarino aveva poi disputato anche il doppio, vincendo insieme a Sonego contro il Cile e perdendo in maniera indolore insieme a Bolelli contro la Svezia. E così Musetti, che a metà del terzo e decisivo set contro la Serbia aveva anche accusato un problema alla coscia sinistra, ha dovuto assistere dalla panchina al trionfo contro l’Australia che ha riportato la Coppa Davis in Italia dove mancava da quel celebre 1976 delle polemiche per la finale di Santiago del Cile. Con l’ultimo filo di voce rimasto, esibendo la medaglia al collo dopo la premiazione, il classe 2002 aveva parlato di un’emozione indescrivibile che rappresenta anche «il modo migliore per chiudere una stagione un po’ difficile». I

IL FUTURO

Tornato da Malaga, il carrarino si prenderà un periodo di meritato riposo prima di iniziare la preparazione verso il prossimo anno in cui nel suo team, oltre ovviamente a Simone Tartarini che lo ha seguito dai primi passi fino al best ranking al n.15 raggiunto lo scorso giugno, ci sarà anche Corrado Barazzutti. Un 2024 in cui il ventunenne dovrà ripartire proprio dal successo corale in Davis per scrollarsi di dosso dei mesi difficili vissuti in campo, dove i migliori traguardi a livello di risultati restano le semifinali di Barcellona, Bastad e Chengdu e a livello di prestigio il successo a Monte-Carlo contro Sua Maestà Djokovic. Il gioco espresso dal toscano ha sempre dato la sensazione di poter essere tra i più soddisfacenti per gli occhi di tutto il circuito, seppur ancora frenato da una certa percentuale di immaturità tennistica. La paternità di Ludovico, prevista per il prossimo marzo, potrebbe fornirgli la serenità decisiva per convogliare tutto il suo talento nella ricerca di quei risultati ai massimi livelli che fin qui hanno ancora faticato ad arrivare. «È stata una stagione di cambiamenti, nella prossima sarò più esperto. Ho vissuto tante esperienze che mi hanno cambiato tanto in tutti i sensi, ma nel 2024 ce ne saranno altre», non possiamo affidarci a parole migliori delle sue stesse dopo la sconfitta contro Kecmanovic per augurare a Musetti un 2024 ancor più soddisfacente e, soprattutto, vincente. 

di Tommaso Mangiapane

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Nato nella città del Festival, “tennis che conta” è sempre stato un ragazzo felice e divertente accanto a Mia

Da Sanremo canta Arnaldi

A Bologna, nelle sfide di qualificazione alle Finals, è stato decisivo contro Cile e Svezia Il punto conquistato con Popyrin l’apoteosi

Il sorriso non lo perder mai, "qualunque cosa ti accada”. Le prime parole di “Dimentico Tutto”, canzone di Emma Marrone del 2013, sono il manifesto della vita di Matteo Arnaldi, nato il 22 febbraio 2001 proprio nella città del Festival della Canzone Italiana. Il talento sanremese ha conquistato tutti prima con simpatia e voglia di scherzare, che mai ne hanno intaccato lo spirito di sacrificio, poi con la maestria del suo tennis, determinante per riportare in Italia una Coppa Davis che mancava dal 1976.

SCELTA DI VITA

Ma andiamo con ordine, perché è al nonno che dobbiamo l’iniziale formazione di una delle più grandi rivelazioni stagionali del circuito ATP. Con lui, all’età di 5 anni, il ligure prende in mano la prima racchetta cominciando ad entrare in confidenza con la disciplina che è diventata la sua principale ragione di esistere. E non era affatto scontato, visto che fino ai 12 un mini “Arnaldino” pratica anche nuoto. In vasca sei tendenzialmente solo: il gruppo esiste, ma quando esegui il gesto tecnico non vedi gli altri. Non condividi. Questo aspetto della piscina lo annoia, così smette. Lui racconta di aver scelto il tennis semplicemente perché in campo si divertiva di più. Le prime vittorie a livello regionale lo gasano: sveglio e rapido nel pensiero e nell’esecuzione, Matteo capisce presto di poter fare della sua passione il suo lavoro. Il fisico è slanciato ma gracile, eppure i risultati cominciano ad arrivare in fretta nelle categorie giovanili, tanto da conquistare immediatamente la maglia della Nazionale. E il best ranking di numero 22 del mondo under 18 gli permette di entrare in tutti gli Slam Junior e di vivere una stagione di prime volte che non dimenticherà mai. In un ambiente che spinge all’individualismo, Arnaldi è uno dei migliori compagni di merende che il circuito possa offrire. Esaltante quando impatta dritti e rovesci e sfrutta la sua impressionante mobilità articolare, non perde mai occasione per ridere e scherzare, concedendo la sua confidenza con fanciullesca velocità. Si diverte, gode nel faticare in campo e in palestra, nel viaggiare trascorrendo mesi lontano da casa, che nel frattempo è diventata Montecarlo con la fidanzata australiana Mia Savio. Quest’ultima ha visto accrescere la sua popolarità in Italia dopo la premiazione della Davis, apice di un’annata straordinaria dell’azzurro.

CRESCITA

Se nel 2021, infatti, arrivano i primi due trofei da professionista negli ITF $25.000 di Bolzano e Skopje, e la stagione successiva il primo titolo Challenger a Francavilla, è il 2023 a lanciare in quello che molti definiscono “il tennis che conta” l’allievo di coach Alessandro Petrone. L’ingresso nella top 100 ATP, i primi successi “pesanti” (su tutti quello contro Casper Ruud, numero 4 del ranking, al Masters 1000 di Madrid), altri tre Challenger in bacheca e la chiamata di Capitan Filippo Volandri. Il primo passo verso l’apoteosi. DAVIS. Il viaggio comincia a Bologna, dove l’Italia deve scrollarsi di dosso le polemiche per l’assenza di Jannik Sinner nella fase a gironi della competizione che abbiamo vinto 47 anni fa. La prima giornata Matteo guarda dalla panchina la sconfitta contro il Canada, poi si alza e prende per mano i compagni. Batte Cristian Garin in tre set e ci imponiamo sul Cile, batte facile Leo Borg (il figlio di Björn) e ci imponiamo sulla Svezia conquistando un posto alle Finals di Malaga. In una squadra priva del suo atleta più forte e di quel Matteo Berrettini massacrato dagli infortuni, Arnaldi rappresenta la ventata d’aria fresca che spazza via le nuvole sopra la testa del Capitano, a volte “tradito” anche dai Lorenzo, Sonego e Musetti. Passano due mesi, alcune cose cambiano (torna Sinner, per esempio) ma la sua importanza resta evidente. In Spagna, ultimo atto di una stagione felice ma logorante, getta via tre match point contro Botic van de Zandschulp e perde al tie-break del terzo set, ma il destino è dalla nostra e l’Olanda torna a casa dopo il doppio. In semifinale si risiede a sorpresa in panca, ma a risolvere una questione di nome Novak Djokovic ci pensa quello con i capelli rossi: Serbia ko. Domenica 26 novembre si fa la storia. Nonostante una prestazione segnata della comprensibile tensione, Arnaldi vince 7-5 2-6 6-4 contro Alexei Popyrin. È la partita che decide Italia-Australia, perché Sinner non può perdere con Alex de Minaur mentre al doppio sarebbero loro i favoriti. Tuttavia scendono le lacrime sul viso di Matteo: a fine ottobre ha dovuto rinunciare a Parigi-Bercy a causa della morte del papà di Mia, che piange anche lei in tribuna. La dedica del trionfo, certificato poi dal successo di Sinner, è quindi destinata al cielo e al ricordo di quell’uomo che gli voleva tanto bene. L’Italia celebra commossa il ragazzo commosso che sorride sempre. La tristezza, talvolta, non è altro che gioia. 

di Edoardo Innocenti

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Dal campo alla panchina nel 2021

Volandri: Capitan Futuro

Dopo aver vinto la Davis vuole subito il bis con Berrettini tra i suoi protagonisti: la squadra trasformata in famiglia 

Un percorso lungo, lo ripete sempre e a ragione. Perché Filippo Volandri, capitano di Coppa Davis dal 2021 è stato elemento fondante non solo di questa impresa. Direttore tecnico Nazionale dal 2018 con il compito di seguire e organizzare la formazione dei nuovi talenti del tennis. Attraverso una struttura consolidata Volandri ha portato dietro la scrivania e in panchina i valori fondanti del giocatore Volandri, per tre anni n.1 in Italia, arrivato fino al n.25 al mondo. Un combattente capace di battere Federer a Roma e di non mollare mai, nei picchi come nei momenti bassi. Volandri, l’uomo che soffre, incita, seduto nel posto più difficile. Dove se l’Italia perde con tanti talenti, la colpa è delle scelte, delle decisioni prese. In un Paese di ct calcististici, che nelle vittorie lo diventano anche per altri sport. «Lavoriamo ogni giorno tantissimo per giocarci queste partite, vivere questi momenti», è il mantra di Filippo, sempre attento e aggiornato su questioni tecniche e tecnologiche, ma capace anche di costruire un gruppo di amici che si è cementato. E dopo le divergenze e polemiche con Fognini, già intanto a provare a ricucire: «aAbbiamo cercato di incontrarci, spero di farlo presto per risolvere questa situazione e per il bene della squadra tutta». Lui dopo Pietrangeli 47 anni fa. Un altro tennis, un altro mondo, un altro modo di guidare una squadra e fare scelte. Appena vinto lo ha ricordato ai microfoni Rai: «Con i giocatori è sempre un lavoro tecnico e psicologico, ma più manageriale che tecnico. I ragazzi hanno allenatori con cui lavorano tutto l’anno e non a caso li portiamo anche con noi. Io li prendo sotto la mia responsabilità tre o quattro settimane. Li ho visti crescere, però, si parla in maniera diversa. Sinner ha bisogno di un tipo di comunicazione non eccessiva, Musetti e Arnaldi hanno bisogno che gli si parli molto, Sonego lo devi prendere sul divertimento e l’entusiasmo, mai sul troppo serio. Ognuno di loro ha bisogno di una comunicazione diversa. Io ho alle mie spalle delle persone meravigliose con cui condivido questo successo, da solo non ce l’avrei fatta e non ce la farei, ora si parla del capitano e dei giocatori, ma dietro c’è un grande gruppo. Per arrivare qui abbiamo fronteggiato mille difficoltà, tanti infortuni, un po’ di polemiche». 

MENTALITÀ VINCENTE.

Nei giorni dalla finale, ha voluto vicino i suoi cari. E nonostante la paura, i tre match di Djokovic contro Sinner, ovverosia tre volte a un punto dalla sconfitta e dal doverci riprovare nel 2024, le sconfitte nei match iniziali sia con l’Olanda, sia con la Serbia, cambiando sempre il secondo singolarista, appunto, tornando ad Arnaldi in finale, Volandri ha trovato la chimica giusta: «Sognavo questo giorno da due anni. Quando abbiamo toccato il fondo l’abbiamo dovuto raschiare ancora. Ci siamo infilati in una piccola fessura. Questa è la fotografia di quello che abbiamo passato. Io mi sono preso le responsabilità che dovevo prendermi. La vittoria di Arnaldi ha ridato energie a Sinner che era cotto, ma si è riacceso per battere De Minaur. Arnaldi mi ha fatto passare le pene dell’inferno, ma cosa gli devi dire. Ha dentro qualcosa di non normale. Ed è stato bravo a reagire dopo la sconfitta con va de Zandschulp, aggrappandosi anche alla squadra. Dedico questa vittoria alla mia famiglia e tutti quelli che ci hanno creduto. È un momento indelebile, per me, per tutti noi e credo anche per molti italiani che ci hanno seguiti». La chiave dei trionfi è come sempre, o perlomeno spesso, nel momento più basso. La sconfitta a inizio girone boognese contro il Canada dei giovani. «Perdere 3-0 contro il Canada nella prima partita, quando eravamo favoriti, ci ha compattato molto. Era un momento particolare, ci ha cementato realmente, per la prima volta abbiamo usato la parola famiglia, e non è proprio scontato. Come non è scontato quanto fatto da Berrettini, venuto a Bologna e a Malaga pur non potendo giocare. L’obiettivo, come ha sottolineato anche Sinner, adesso è rivincerla con Matteo. Meritava anche lui di alzare la Coppa, rientrare nelle foto, ma i regolamenti non lo permettono».

GRUPPO UNITO

La squadra come famiglia, un ritornello molto in voga nello sport iperprofessionistico di oggi. Lo si usa nel basket, nel calcio, nella pallanuoto. Magari è più difficile nel tennis sport individuale per eccellenza, dove appare più difficile far conciliare ego enormi, sviluppati anche per l’esigenza della disciplina stessa. Ma Volandri ha cominciato a usarla e a ripeterla di continuo. E la squadra lo ha dimostrato. Nel gruppo ci sono giocatori veri, che stanno assieme quando capitano negli stessi tornei, hanno chat comuni e anche interessi tali (tipo il basket Nba). «Sono amici, tutte persone umili, il mio è un ruolo difficile, ma con simili persone è bellissimo». Appunto, la squadra intesa come famiglia. «E siccome abbiamo tanti giovani, tutti disponibili ed entusiasti, un ciclo è possibile sì». Chi avrebbe mai pensato anni fa all’Italia riferimento mondiale, portata a esempio nel tennis?

di Piero Guerrini

 

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Protagonisti dietro le quinte

Hanno vinto anche loro

Non solo le prime linee, la squadra italiana è molto profonda e coesa. Ed è protagonista anche chi non è andato in campo

Bolelli: l'importanza del veterano

A Malaga non ha giocato alcun “15”, ma l’importanza di Simone Bolelli è stata comunque lampante. Il veterano azzurro è stato protagonista di un percorso fondamentale, personale e di squadra, che ha permesso all’Italia di affrontare in questi anni le sfide decisive di Coppa Davis, contribuendo a riportare gli azzurri nel World Group (Serie A). Nato a Bologna (cresciuto a Budrio) l’8 ottobre 1985, ha compiuto 38 anni poco prima delle finali di Malaga. Dotato di un dritto di rara potenza e precisione, ha raggiunto il n.36 al mondo in singolare e la Top 10 (esattamente n.8) in doppio, specialità nella quale ha conquistato gli Australian Open nel 2015 in coppia con Fabio Fognini. Nello stesso anno ha partecipato alle ATP Finals. A livello individuale avrebbe potuto raggiungere ben altri risultati, ma gli infortuni (in particolare al polso) lo hanno frenato sul più bello. Una finale ATP, persa a Monaco di Baviera contro “mano de piedra” Gonzalez, due semifinali e 34 partecipazioni negli Slam (ha raggiungo 5 volte i sedicesimi di finale, due volte al Roland Garros e tre a Wimbledon), sono comunque un ottimo bottino. In doppio i titoli conquistati sono 11, di cui sei in coppia con Fognini.

Il suo esordio in maglia azzurra risale al 2007 contro Israele, con l’Italia relegata nei bassifondi della Coppa Davis. L’anno successivo è arrivata la prima grande vittoria, in singolare, in Nazionale: sconfitto il gigante Ivo Karlovic fuori casa, a Dubrovnik, per 3 set a 0. Uno scatenato Ancic bloccò gli azzurri, ma l’avventura tricolore di Bolelli prese definitivamente il via. Complessivamente saranno 43 (23 W – 20 L) gli incontri giocati per l’Italia, la maggior parte dei quali in doppio (16 W – 11 L). Negli anni è diventato sempre più uomo squadra, togliendosi la grande soddisfazione di indossare la maglia azzurra nella sua Bologna durante la fase a gironi. Nelle Davis Cup Finals 2022 ha disputato, nei quarti di finale contro gli Stati Uniti, una delle migliori partite della carriera insieme al fidato Fognini, sconfiggendo 6-4 6-4 Tommy Paul e Jack Sock. Il grande rammarico è giunto in semifinale, poiché un infortunio muscolare gli ha tolto la possibilità di disputare il doppio decisivo contro il Canada. La sfortuna è stata ripagata però nel 2023 quando, seppur senza scendere in campo a Malaga, ha potuto finalmente alzare al cielo la Coppa Davis. A 16 anni dall’esordio a Ramat Hasharon.

Di Alessandro Nizegorodcew

BERRETTINI: LA FORZA DI MATTEO

Non ha ufficialmente vinto la Coppa Davis 2023, ma la presenza di Matteo Berrettini a Malaga è stata importante, significativa. Sia per il supporto dato ai 5 alfieri azzurri che per l’attaccamento dimostrato alla Nazionale. La maglia azzurra, per Matteo, è sempre stata un sogno. Sin dalla prima convocazione del 2019 in India, quando sull’erba di Calcutta superò all’esordio Gunneswaran. Quell’anno, nelle fasi finali, ha disputato due buoni match, persi sul filo di lana, contro Shapovalov e Fritz. Splendido a livello di prestazioni invece nei gironi a Bologna nel 2022, durante i quali ha vinto e convinto contro Coric, Baez e Ymer. In semifinale è purtroppo giunto post-infortunio e, nel doppio decisivo contro il Canada, è stato schierato a sorpresa senza riuscire a incidere. Matteo Berrettini è l’emblema di un percorso impostato senza fretta, cercando bensì di crescere sotto ogni aspetto in maniera paziente e calibrata.

Nato a Roma il 12 aprile 1996, inizia a giocare a alla Circolo dei Magistrati della Corte dei Conti per poi spostarsi, agli ordini di Vincenzo Santopadre, all’Aniene. Gli infortuni sono una costante della sua carriera, anche giovanile, ma nonostante ciò riesce ad arrivare al n.52 del mondo under 18. L’ingresso tra i “grandi” è abbastanza repentino ed entra in Top-100 ATP nel marzo 2018 a 21 anni. Sette i titoli ATP: il primo giunge sulla terra battuta in altura di Gstaad nel 2018, per poi conquistare negli anni Budapest, Stoccarda (due volte), Queen’s (due volte) e Belgrado. È negli Slam che Matteo Berrettini dimostra il suo talento e la capacità di alzare il livello, contro chiunque, nei momenti importanti: il primo exploit arriva agli US Open 2019 con una clamorosa semifinale, ma è negli anni successivi che l’azzurro si consolida nel gotha, raggiungendo al massimo il n.6 del mondo. Nel 2021 l’apice: Matteo, dopo un percorso sontuoso, arriva in finale a Wimbledon, un risultato in Italia mai visto prima. La sconfitta con Djokovic è inevitabile, ma Berrettini entra nella storia. Arriveranno altri tre quarti di finale e la semifinale agli Australian Open 2022 a completare il quadro di un campione tanto forte quanto sfortunato. Troppi, infatti, gli infortuni (muscoli addominali e caviglie, in particolare) che ne rallentano la corsa, portandolo a uscire dai primi 90 giocatori del mondo. La ripartenza, con un nuovo team, è attesa per l’inizio del 2024 in Australia. Con un occhio sempre alla Coppa Davis, perché l’insalatiera, Matteo, vuole farla sua.

di N.A.

FOGNINI: L'AMORE PER L'AZZURRO

La Coppa Davis 2023 è anche di Fabio Fognini. Il ritorno in Serie A, la competitività ad alti livelli e le tante imprese in maglia azzurra hanno rappresentato la prima fase della rinascita, conclusasi poi con il trionfo di Malaga. Senza Fognini non sarebbe mai giunta questa Davis. “Fogna” nasce a Sanremo il 24 maggio 1987 e, sin da piccolo, lascia intravedere qualità fuori dal comune. Entra nella Top100 nel 2007, a 20 anni, e vi rimane per oltre 14 anni. In classifica raggiungerà la Top-10 sia in singolare che in doppio. In questo periodo arriva, con il titolo nel Masters 1000 di Montecarlo nel 2019, il più grande successo azzurro dai tempi di Adriano Panatta. Fabio vince complessivamente 9 tornei ATP disputando ben 789 match nel circuito maggiore (record 414 W – 375 L). Ben 16 i successi su tennisti Top10, tra cui ben 4 trionfi contro Rafael Nadal. Clamoroso il suo record nei match disputati al quinto e decisivo set (tra Slam e Davis), che lo vede vincente in 24 occasioni su 39 (61%). Fabio è riuscito, dopo una lunga rincorsa, a entrare in Top10 e a raggiungere il n.9 ATP il 15 luglio del 2019. Negli Slam vanta un quarto di finale (Parigi 2011), 7 ottavi di finale e un numero spropositato di partecipazioni (59). In doppio ha trionfato agli Australian Open del 2015 in coppia con Simone Bolelli, partecipando in quello stesso anno alle ATP Finals e ottenendo il best ranking di n.7 di specialità. In carriera porta a casa un montepremi totale di quasi 20 milioni di dollari.

L’esordio in maglia azzurra risale al 2008 contro la Lettonia, ma è già l’anno successivo che giunge la prima vittoria in 5 set contro lo slovacco Lacko. In totale giocherà 55 match in Nazionale (record 35 W – 20 L), ma è in singolare che fa la differenza conquistando 23 sfide su 32 (72%). Il match simbolo del Fognini azzurro risale al 2013, in una Napoli infuocata dai suoi dritti vincenti: Fabio affronta Andy Murray dominandolo in tre rapidi set e permettendo all’Italia di superare 3-2 la Gran Bretagna. In singolare supera, oltre allo scozzese, ottimi avversari quali Juan Monaco, Fernando Gonzalez e Andrey Rublev. Gioca ininterrottamente in Nazionale dal 2008 al 2022 senza mai rinunciare alla maglia azzurra, anche in periodi in cui avrebbe potuto dare priorità all’attività individuale. Nel 2022 è protagonista della cavalcata che porta l’Italia sino alla semifinale e al doppio decisivo contro il Canada, perso in coppia con Matteo Berrettini. La Davis Cup 2023 è anche un po’ sua, nonostante le polemiche con Filippo Volandri per la mancata convocazione. 

di N.A

 

Il tennis siamo noi 8
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Quella Coppa Davis diventata Leggenda

Il Cile travolto nel 1976 a Santiago da Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli

La scaramanzia è una questione geometrica e tridimensionale. Le cose disposte in un certo modo, sempre quello, diventano punti di riferimento, il segno che tutto è a posto, logico, immutabile. Avete presente le bottiglie di Nadal, l’una accanto all’altra sotto la sedia, in diagonale? «Un dilettante, rispetto a me», vi potrebbe sorprendere Panatta. L’anno di grazia 1976, fece scoprire agli appassionati italiani un Adriano attento a non turbare i refoli della buona sorte che avvertiva a ogni discesa sul campo, convinto che fosse l’anno giusto per dare forma alle vittorie sulle quali, sin da bambino, si fondavano i suoi sogni. Roma. Parigi. La Davis. «Nella mia borsa portavo di tutto, anche chiodi arrugginiti». Ne sortiva una ricetta della vittoria in linea con simili turbamenti. Equilibrio psicofisico, e un fondo di magia. «E quando la magia si metteva in moto, io la sentivo».

STAGIONE STORICA

La magia che intende Adriano alcuni la chiamano predestinazione. Altri, culo. E quanta parte ebbe nel determinare i fatti di quella stagione divenuta storica potrebbe essere ancora oggetto di dibattito, fatto salvo il valore della squadra forgiata “dar sor Mario”, Belardinelli, direttore tecnico del nostro tennis al Centro di Formia. Una formazione che mise in campo, nei cinque anni che portarono alla vittoria in Cile e ad altre tre finali, due top ten (Panatta 4 e Barazzutti 7), il numero 12 Bertolucci e il numero 26 Zugarelli. La classe di Adriano, la ferocia di Corrado, un doppio straordinario, e una riserva di gran valore. Un anno, il 1976, in cui le vittorie di Panatta si intrecciarono con quelle della Davis, finendo per spiegarle, se non addirittura anticiparle. La Coppa cominciò in sordina, la sconfitta dell’anno prima in Francia (semifinale di zona europea) aveva spinto sul fondo la nostra Nazionale. Occorreva ripartire dai quarti di finale europei, e per giungere al successo servivano sei vittorie e sei settimane da dedicare alla maglia azzurra. I primi due incontri furono facili e fortunati, a Firenze con la Polonia priva di Fibak (ma con i dilettanti Dobrowolski e Drzymalski), poi a Bologna contro la Yugoslavia di Pilic e Franulovic in vesti dimesse. Due 5-0 che santificarono l’ingresso in squadra del nuovo capitano, Nicola Pietrangeli, al posto di Fausto Gardini. Fu accolto con qualche freddezza da una parte della squadra. Non da Panatta, il cui ruolo restava intatto, ma dagli altri, cui il fascino di Pietrangeli finì per depredare di quelle attenzioni e della considerazione di cui avevano goduto. Dodici match point, undici agli Internazionali contro Kim Warwick e uno al Roland Garros con Pavel Hutka, tutti a favore di Panatta, fecero da cerniera con i fatti che seguirono. Roma e Parigi aprirono ad Adriano le porte del grande tennis, votato da schiere di tifosi, non solo italiani, a interprete del gioco più entusiasmante. Costruito su tocchi e attacchi, su volée e smorzate, su servizi e dritti che arroventavano gli animi, sebbene rivisti oggi appartengano a un tennis che ancora dava il tempo di comprendere che cosa avesse in animo di fare il tennista e dove sarebbe andata a posarsi la pallina. L’ultimo degli artisti.

VERSO IL SOGNO 

La Davis riprese a luglio, con la Svezia priva di Borg (4-0) e spinse l’Italia alla sfida con la Gran Bretagna sull’erba di Wimbledon (non il Centre Court ma il Numero uno). Qui la squadra cambiò volto, Belardinelli e Pietrangeli convennero che il tennis di Zugarelli avesse doti erbivore più spiccate di quello di Barazzutti e Tonino si prese la sua fetta di Coppa, meritandola per aver battuto Roger Taylor e John Lloyd. Panatta ottenne gli altri due punti, ma con Bertolucci al fianco perse il doppio, al quinto, rimontato da 2-0 dai fratelli John e David Lloyd. Una delle poche sconfitte del nostro doppio, l’unica di quella stagione. Era la finale interzone, e la zona ovviamente era quella europea. La vittoria spinse l’Italia alla semifinale mondiale contro l’Australia del vecchio Newcombe, affrontata a Roma. Già battuto da Barazzutti e in difficoltà nel quinto match contro Panatta, John prese a imitare Adriano, a partire dai drop shot che disseminò generoso per il campo, rivolgendosi al pubblico per ricevere la propria razione di applausi, e urlare che anche lui sapeva fare le smorzate, esattamente come il suo amico. Finì 57 86 64 62 per Adriano. Quel risultato portò l’Italia alla prima finale. E a Santiago. Il Cile venne promosso dal rifiuto dell’Unione Sovietica di giocare contro i tennisti del generale golpista, Augusto José Ramon Pinochet Ugarte. L’Italia si mostrò subito divisa, Pietrangeli condusse una strenua battaglia sui mezzi di comunicazione per esporre le ragioni dei tennisti, confrontandosi con opinione pubblica ed esponenti del Pci, ma a risolvere la vicenda fu il “sì” di Enrico Berlinguer, cui Luis Corvalan capo del partito comunica cileno in esilio fece giungere una lettera nella quale sosteneva che fosse un bene lasciare che i mezzi di stampa italiani andassero in Cile, a descrivere lo stato del Paese dopo il golpe dell’11 settembre 1973. Panatta avrebbe raggiunto Santiago da Las Vegas, dove aveva un’esibizione. Gli altri giunsero da Roma, con Pietrangeli e Belardinelli. «Non stavo bene, mi era venuto uno sfogo enorme sulla bocca. Parlavo come il gatto Silvestro, con la pernacchia», racconta Panatta. «Lo dissi a Belardinelli. Maestro, meglio se non gioco. Ricordo ancora l’espressione di Belardinelli. “Se non giochi ti picchio”, mi disse subito. Lo guardai. Non scherzava». Panatta giocò, vinse i suoi tre punti. Con Cornejo, in doppio con la maglietta rossa («della quale la stampa nemmeno si accorse»), poi con Fillol. Barazzutti fece il primo punto. La festa e i giri di campo presero il via già sul 3-0. Era la prima Davis. Ora finalmente ce n’è un’altra, ma sono passati 47 anni. «Per la vittoria ci regalammo tre giorni di vacanza», racconta ancora Adriano, «tutti assieme, a Rio de Janeiro. Ci chiesero che regalo avremmo desiderato. Un orologio, fu la richiesta di tutti, un Rolex d’acciaio con la scritta Coppa Davis 1976. Ci dissero di sì. Poi ce ne fecero un altro. Il Rolex costava troppo».

Di Daniele Azzolini

Il tennis siamo noi 9
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Il racconto della Davis conquistata nelle Finals di Malaga

L'apoteosi 2023: l'anno della svolta

Dal possibile fallimento di Bologna, al grande trionfo in Spagna con i successi di Sinner, Sonego e Arnaldi

La Coppa Davis 2023 è stata un viaggio sul filo sottile tra storia e fallimento. Il campanello d’allarme dopo il grave ko con il Canada, i 4 match point salvati da Sonego contro Jarry e i 3 sventati da Sinner contro Djokovic in semifinale. Quando si gioca per l’Insalatiera ogni istante è un bivio tra la gloria nazionale e un flop clamoroso. Il tennis è un gioco crudele e senza via di mezzo, non esistono toni grigi, solo bianco o nero. Matteo Arnaldi, Simone Bolelli, Lorenzo Musetti, Lorenzo Sonego e la punta di diamante Jannik Sinner sono gli interpreti della seconda Davis azzurra. Il successo di Malaga è arrivato con un gruppo ben diverso da quello di Santiago del Cile. L’età media bassa con tre interpreti nati dopo il 2000 e la personalità atipica del leader Sinner, capace di farsi amare dall’Italia come il Panatta che fu. Un quarto di finale e una semifinale, inframmezzati da una lunga lista di defezioni. Ecco il bilancio dei primi due anni di Volandri sulla panchina azzurra, una gestione segnata dall’impossibilità di avere la squadra al completo e dal vantaggio teorico di potersi presentare ai singolari con Berrettini e Sinner; spesso privato anche del doppio fisso Bolelli/Fognini.

A BOLOGNA

La situazione si ripete a Bologna: questa volta, l’esclusione del Fogna” è una decisione tecnica, che si somma alle assenze dell’infortunato Berrettini e dello stanco Sinner. Tra controversie interne e dibattiti pubblici, l’atmosfera con cui si parte all’Unipol Arena è tutt’altro che ideale. La prima è contro il Canada, campione in carica e giustiziera degli azzurri nella semifinale del 2022. La voglia di rivincita dovrebbe essere agevolata dalle assenze di Auger-Aliassime e Shapovalov, che lasciano il destino delle foglie d’acero in mano a Galarneau (200 ATP) e Diallo (158 ATP). Da apparente formalità la sfida si tramuta in incubo: Sonego e Musetti cedono in singolare, segue il ko in doppio di Arnaldi e Bolelli che fissa lo 0-3 finale. Parte il polverone, nel girone con Canada, Svezia e Cile, per l’Italia contro i sudamericani sarà subito sfida da dentro o fuori. Fanno paura i possibili accoppiamenti, dove il numero 1 Musetti sarebbe costretto ad affrontare la bestia nera Nicolas Jarry. Volandri prende coraggio ed esclude il toscano per far giocare Arnaldi e di conseguenza schierare Sonego come primo singolarista. Il ligure batte Garin dopo un avvio teso, poi il turning point della nostra Davis. Jarry inizia forte contro Sonego, ma il finale, quasi scritto, viene rovesciato: Sonego salva 4 match point e conquista una vittoria eroica per 3-6, 7-5, 6-4, rimettendo il destino azzurro alla giornata finale contro la Svezia. Dopo una notte di cervellotici calcoli, l’Italia cancella gli scandinavi con le vittorie di Arnaldi e Sonego nei match contro Borg ed Elias Ymer: si vola alle final eight.

LA FINAL EIGHT

L’Italia sbarca a Malaga con un Sinner in più e un Berrettini in veste di tifoso d’eccezione. La sfida con l’Olanda si infiamma: si riparte dai match point annullati, i tre che van de Zandschulp sventa con Arnaldi per regalare il primo punto agli orange. Poi arriva il momento clou, il ritorno di Sinner in azzurro. La semifinale è a portata di mano: Sinner domina Griekspoor per il pareggio e, in coppia con un Sonego scintillante, conquista il punto decisivo contro Griekspoor e Koolhof. Sabato è il turno della semifinale contro la Serbia di Djokovic, il match più atteso e temuto. Kecmanovic ribalta le sorti su Musetti, ma gli azzurri non si arrendono. Sfida titanica contro Djokovic: Sinner, in forma smagliante, non solo batte il numero uno mondiale per la seconda volta in 12 giorni, ma lo fa salvando tre match point sul 4-5 del terzo set per poi trionfare 6-2 2-6 7-5. In doppio, ancora Sinner e Djokovic, affiancati da Sonego e Kecmanovic. Volandri ha trovato la formula magica, il doppio azzurro vince 6-3 6-4 e stacca il pass per la finale. Contro l’Australia, la storia chiama fin dalle prime ore del mattino. Il singolare di Arnaldi diventa cruciale: deve vincere per evitare un doppio a sfavore. E ce la fa, mostrando carattere nei momenti chiave del confronto con Popyrin. Infine, Sinner sfida De Minaur e lo domina per 6-3 6-0 aprendo le porte a una celebrazione storica: dopo 47 anni, l’Italia è campione del mondo.

Di Lorenzo Ercoli

Il tennis siamo noi 10
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LA NAZIONALE AZZURRA HA SFIORATO LA CONQUISTA DELLA BILLIE JEAN KING CUP A SIVIGLIA

L'italdonne nel nome di Tathiana

La Garbin, capitana coraggiosa, ha costruito una squadra di grande livello agonistico e morale: peccato quella sconfitta contro il Canada in finale

Prendere una Nazionale decaduta e riportarla nell’élite sino a sfiorare il titolo mondiale. È l’impresa firmata da Tathiana Garbin, leader e trascinatrice di un movimento che ha toccato il cielo con più di un dito e adesso lavora per tornare una grande potenza. La quarantaseienne di Mestre era una giocatrice, arrivata sino alla 22a posizione della classifica WTA, negli anni d’oro del tennis femminile italiano. Era il periodo di Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci e Sara Errani, ragazze magiche che hanno dominato la Fed Cup e anche a livello individuale, tra singolo e doppio, hanno imposto a lungo la legge del tricolore fuori confine. Dopodiché le cose sono cambiate e a prendersi la gloria sono stati, e sono tutt’ora, gli azzurri. Dieci rappresentanti del nostro Paese nella top 100 del ranking ATP, questo lo storico traguardo raggiunto da un gruppo che ha coronato il suo percorso alzando al cielo la Coppa Davis 47 anni dopo la prima ed unica volta.

NUOVO CORSO

E le ragazze? Le ragazze sono cadute come “insieme” e si stanno rialzando come “insieme”. Garbin eredita la panchina della Nazionale a ottobre del 2016 dal plurititolato Corrado Barazzutti e le prime due avversarie che affronta, nel World Group II, sono Slovacchia e Taipei. È l’indice di ciò che siamo, nulla di cui vergognarsi dopo i fasti del passato. Si apre così una fase di studio, anche fuori dal campo. Perché Tathiana ha il merito di aver preso a cuore la missione tanto da essere diventata il punto di riferimento di tutte le tenniste nostrane. La vedi con il tricolore sul petto in quella che oggi si chiama Billie Jean King Cup, ma la vedi con il tricolore sul petto pure al Centro Tecnico Federale di Formia, così come ai tornei WTA, ITF e talvolta anche giovanili. La sua fame, aggiunta all’abnegazione e alle qualità di alcune atlete, ha riportato il sereno. Nel 2022 l’Italia si trova a disputare la fase conclusiva della manifestazione, ma è difficile pensare di poter fare strada. E infatti perdiamo 3-0 sia contro la Svizzera sia contro il Canada. Nessuno lo sa: sono solamente le prove generali per il miracolo sfiorato un anno dopo.

IMPRESA SFIORATA 

In questa stagione i campi veloci indoor di Siviglia ospitano le Finals di quello che è a tutti gli effetti il Mondiale a squadre di tennis femminile. Ci presentiamo a fari spenti con Jasmine Paolini (30 WTA) Martina Trevisan (43 WTA), Elisabetta Cocciaretto (52 WTA), Lucia Bronzetti (64 WTA) e Lucrezia Stefanini (119 WTA). Una squadra giovane ma non troppo che deve fare a meno di Camila Giorgi, talento dal rapporto controverso con la maglia della Nazionale. Ci perdiamo dal punto di vista tecnico, ma la figlia e allieva del vulcanico papà Sergio non è sicuramente una che fa spogliatoio. Quindi pronte, via: c’è la Francia. Giochiamo due singolari tosti, intensi, dispendiosi sotto tutti gli aspetti.

Vincendo. Trevisan 6-2 al terzo ai danni di Alizé Cornet, Paolini 6-4 al terzo su Caroline Garcia. Poi la Germania, team tutt’altro che imbattibile. Martina avverte la tensione, sa di essere favorita e rischia l’harakiri, ma in qualche modo supera l’ostacolo Eva Lys. Nessun problema per Jasmine contro Anna-Lena Friedsam. Ci prendiamo gusto. In semifinale l’avversaria è la Slovenia. Definizione: insidiosa. Anche in questo caso il dritto mancino di Trevisan è po’ tremolante, eppure nemmeno Kaja Juvan ne sa approfittare fino in fondo. Buon per noi: 7-6(6) 6-3 Italia. Torna in campo, ovviamente, Paolini, e contro Tamara Zidansek c’è da combattere. Il timing della nostra portacolori fa a tratti invidia alle migliori del circuito, forse perché, se ne sono accorti in pochi, ma una delle migliori al mondo è diventata sul serio. Dalla parte opposta della rete non c’è alcuna voglia di arrendersi. Ne viene fuori un bel match e alla fine è bello anche il risultato: 6-2 4-6 6-3 per la più piccola delle due toscane che difendono la nostra bandiera in singolare. Esattamente 10 anni dopo l’ultima volta, torniamo in finale. Senza le star, senza una vera coppia di doppio in rosa, senza proclami. Ma con un gruppo. E una Capitana coraggiosa. La domenica conclusiva gira tutto storto, Trevisan perde contro la modesta Marina Stakusic (numero 264 del mondo) e Paolini non riesce neanche ad impensierire Leylah Fernandez (finalista degli US Open nel 2021). Titolo al Canada. Tuttavia la scena se la prende, purtroppo, ‘Tax’ Garbin: “Ho un tumore raro. Mi sono operata, ci sarà bisogno di un altro intervento chirurgico. Dovrò combattere”. L’annuncio smuove gran parte dello sport italiano. Tutti esprimono supporto per la fresca vice campionessa del mondo, compreso Jannik Sinner che le dedica la vittoria della Davis. Ma più di tutti ci sono le sue ragazze, come figlie acquisite. Ieri in campo, oggi in ospedale. Adesso la battaglia è la sua. Tutte per una, una per tutte. 

di Edoardo Innocenti

Il tennis siamo noi 11
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Diciassette tennisti italiano tra i primi 200 del mondo

Il nuovo che avanza alla Next Gen

Cobolli e Nardi protagonisti a Gedda dove non è andato Musetti, che aveva scelto l’Italia e la Davis

Diciassette giocatori fra i primi 200 della classifica mondiale. Non aveva mai conosciuto prima un periodo così brillante l’Italia del tennis, fresca di conquista della seconda Coppa Davis della sua storia dopo quella datata 1976, un trionfo arrivato dieci giorni dopo la piazza d’onore delle azzurre in Billie Jean King Cup e appena una settimana più tardi dalla finale di Jannik Sinner alle Nitto ATP Finals di Torino. Si è chiusa con il botto, insomma, un’annata davvero strepitosa per le racchette del Belpaese. E la fotografia più nitida è proprio quella che forniscono i ranking. Sono cinque le esponenti tricolore tra le prime 100 della graduatoria femminile (Jasmine Paolini n.30, Martina Trevisan 42, Elisabetta Cocciaretto 48, Camila Giorgi 54 e Lucia Bronzetti 62), con Sara Errani di poco fuori, alla casella 104, e Lucrezia Stefanini al 120° posto. Sul fronte maschile sei i giocatori in Top 100, con a fare da battistrada un Sinner 4° ma sempre più lanciato verso il vertice. Poi Lorenzo Musetti 27°, Matteo Arnaldi 44° (niente male per uno che aveva iniziato il 2023 al 134° posto Atp), Lorenzo Sonego tre gradini sotto, con Matteo Berrettini 91° (pesantemente condizionato dagli infortuni) e Flavio Cobolli al n.100. Alle loro spalle ben undici sono gli italiani entro la 200a posizione, capitanati dal veterano Fabio Fognini , risalito al n.107 grazie al titolo nel Challenger di Valencia. Ma a mettere nel mirino la Top 100 sono anche e soprattutto i giovani Luca Nardi (115), Luciano Darderi (128) e Giulio Zeppieri (134), seguiti da Andrea Pellegrino (154), Andrea Vavassori (168), Mattia Bellucci (179), Matteo Gigante (182) e Raul Brancaccio (190), senza tralasciare i più esperti Stefano Travaglia (195) e Federico Gaio (200).

 

NEXT GEN

Fra l’altro, proprio Cobolli e Nardi sono stati tra gli otto protagonisti delle Next Gen Finals, a Gedda dopo i cinque anni di esperienza milanese. Per l’evento riservato ai migliori under 21 del tour si sarebbe qualificato anche Musetti, che però con in testa anche il pensiero della prossima paternità ha preferito difendere il tricolore a Malaga come momento di chiusura della sua annata a luci e ombre. C’è curiosità per vedere il ruolo che potranno recitare in Arabia Saudita il romano figlio d’arte («Non voglio fermarmi. Voglio essere uno dei protagonisti del futuro del tennis», dice Cobolli, che ha indossato la maglia della Roma nelle giovanili) e il classe 2003 pesarese, che a livello giovanile contendeva la scena a coetanei quali Carlos Alcaraz e Holger Rune, con i quali è rimasto amico. «Ciascuno di noi ha un cammino diverso per tempi e modalità, ma indubbiamente il loro esempio è uno stimolo in più anche per il sottoscritto», ha ammesso Nardi.

IL NUOVO CHE AVANZA

Ha indossato le scarpette bullonate da ragazzino, difendendo i colori del Pisa, anche Francesco Maestrelli, un altro della pattuglia di giovani italiani che sta bussando alle porte del tennis che conta. Dopo gli exploit a ripetizione del 2022 (partito a gennaio al n.759 arrivando fra i primi 170), quest’anno il toscano ha vissuto una stagione interlocutoria, che lo vede al n.222 Atp dopo aver fatto segnare il best ranking al 149° posto a fine giugno. «La considero un’annata di transizione ma anche di conferme alla luce dei tanti cambiamenti – il giudizio del toscano, balzato agli onori della cronaca in estate per lo sfogo con un video sui social contro le offese ricevute sul suo profilo Instagram – Ho capito di avere il livello per poter dire la mia, oltre ai vari aspetti su cui lavorare per compiere un ulteriore salto di qualità».

Quello che insegue Federico Cinà, classe 2007 che si sta mettendo in evidenza nel circuito Junior (semifinale agli Us Open e poi qualificazione per le Finals under 18). Ha il tennis nel Dna il ragazzo di Palermo, figlio di Francesco, ex coach di Roberta Vinci, e Susanna Attili, professionista nei primi anni Novanta, con best ranking in doppio al 131° posto Wta nel 1994. «Da quando ero in passeggino ogni giorno stavo al circolo dove lavorava mio padre. Ho dei video in cui a 9 mesi, senza camminare ancora, passavo il tempo a colpire qualsiasi cosa con un mestolo o una bottiglietta vuota – ricorda “Pallino” come è soprannominato – E poi a 3/4 anni mi svegliavo in piena notte e chiedevo di palleggiare in salone o in terrazza. Ho giocato con chiunque mi tirasse una pallina e distrutto tutti i soprammobili di casa». Il 16enne prospetto siciliano, con i coetanei Andrea De Marchi (romano) e Matteo Sciahbasi (marchigiano), ha portato la nazionale under 16 sino a sfiorare il titolo nelle Junior Davis Cup Finals di Cordoba, cedendo al doppio decisivo alla Repubblica Ceca. Un movimento in salute, insomma, aspettando i frutti della marea di ragazzini che imbraccerà la racchetta dopo il trionfo azzurro in Davis. Tanto che il presidente federale Angelo Binaghi, ospite negli studi del TG1 delle 20 per commentare l’impresa della squadra di Filippo Volandri, si è lasciato andare a un “Allacciamoci le cinture, abbiamo davanti 15 anni di grandissime emozioni”.

di Guanluca Strocchi

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Come lavora lo staff di capitan Volandri

L'Italia nascosta che vince lo stesso

Ci sono 21 professionisti al servizio dei giocatori: dal team manager al medico, dai preparatori ai massaggiatori, tutti importanti per il trionfo in Coppa Davis

La vittoria in Davis Cup a Malaga non è casuale ma figlia di un “Sistema Italia” costruito negli anni. La conferma arriva da Michelangelo Dell’Edera, direttore dell’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi e Team Manager azzurro: «Siamo campioni del mondo – ha sottolineato a impresa da poco compiuta -. Una coppa conquistata da 13mila insegnanti, 2mila scuole, più di 3mila circoli affiliati, oltre 150mila bambini che giocano a tennis. Questa Coppa Davis è la vittoria di tutti loro. Avevo 12 anni quando abbiamo vinto la coppa nel 1976, l’ho vista su una tv in bianco e nero nel circolo di provincia di Rutigliano. È straordinario. Il cuore – ha aggiunto – esplode d’azzurro, invito tutti i bambini a giocare a tennis, che è uno sport meraviglioso. Regala emozioni straordinarie. Il tennis è sinonimo della vita, è proprio vero. Devi essere autonomo, prendere decisioni. Poi indossare la maglia azzurra è eccezionale». Un’attesa durata quasi 50 anni che ha trovato sfogo al termine di una settimana speciale: «Ora tutti parlano di tennis – ha proseguito Dell’Edera – dal benzinaio al ristoratore, dai grandi ai piccini. Il Team che ha reso possibile tutto questo è frutto di una precisa strategia federale, di un progetto nato nel giugno del 2010. Tredici anni di lavoro e perfezionamento continuo, anche correggendo errori che inevitabilmente si sono fatti e trovando agli stessi le giuste contromisure».

UN TEAM SUPER

Di quanti elementi parliamo appartenenti al progetto? «Sono 21 persone – ha risposto il Team Manager ognuna delle quali ha una qualifica specifica e speciale. Il vertice tecnico è composto dal capitano Filippo Volandri, dal viceallenatore e consulente Umberto Rianna e dal sottoscritto. Poi c’è Stefano Barsacchi, preparatore fisico di 2° grado. Passo quindi a citare i preparatori mentali che non sono i classici “mental coach”, ma professionisti anche loro con qualifica di 2° grado e laureati in psicologia. Sono Danilo De Gaspari e Lorenzo Beltrame, un’eccellenza italiana cresciuto seguendo le esperienze di un vero e proprio antesignano del settore, Jim Loehr. Grande attenzione poi al nostro staff medico. Il coordinatore è il medico sportivo Luca Semperboni. Con lui sono tre i fisioterapisti di 2° grado, Francesco Paperini, Luca Farinelli e Claudio Zanetti, che è anche osteopata. Nel Team il tecnico degli attrezzi, figura importantissima anche per l’aspetto della prevenzione da infortuni assortiti. È Pierpaolo Melis, detto “Jumbo” per le sue capacità di velocità e precisione. Le corde di un telaio sono come le gomme per una macchina di Formula 1. è possibile cambiare il “tiraggio” anche durante il match per ottimizzare i colpi e gestire meglio le situazioni che cambiano nel corso dello stesso. Può essere definito a mio parere anche come un tecnico del violino».

Di basilare importanza anche gli allenatori dei diversi giocatori convocati: «Sinergie assolute, come si è visto durante le Finals di Malaga. Così ecco Gipo Arbino, coach di Lorenzo Sonego; Simone Vagnozzi, coach di Jannik Sinner, e Umberto Ferrara, il suo preparatore fisico. Ed ancora Damiano Fiorucci, preparatore di Lorenzo Musetti e il suo coach storico, Simone Tartarini, assente per motivi di salute in terra di Spagna. E ancora Alessandro Petrone, coach di Matteo Arnaldi, con il suo preparatore fisico. Del progetto anche il consigliere federale Graziano Risi». Un sistema che ha innalzato la cultura sportiva costruendo attorno a sé una capillarità totale: «Tanto da poter dire di avere – ha proseguito Dell’Edera – 2000 ipotetici centri tecnici che lavorano con lo stesso metodo. Quella che stiamo attraversando è una tempesta perfetta che dovrà essere costantemente implementata continuando a studiare e inserendo nuovi obiettivi formativi. È quanto sta facendo Jannik Sinner, impegnato nello studio per diventare numero 1 del mondo. È quanto stanno facendo tutti gli altri giocatori del gruppo che crescono sotto ogni profilo migliorando le competenze nei vari settori».

COME NEL MUNDIAL ‘82

Torniamo un attimo al successo di Malaga, dove è nato? «Mi piace fare un paragone con la Nazionale di calcio del 1982. Dopo il Camerun si è chiusa a riccio. Noi abbiamo fatto una cosa simile dopo il Canada, creando una sorta di “bolla”. Da quel momento è stato un continuo crescendo e grazie al gruppo e al suo perfetto stato psicofisico siamo riusciti a superare momenti molto complicati come i match point annullati da Sonego a Jarry in quel di Bologna e quelli cancellati da Sinner al numero 1 del mondo, Novak Djokovic. Non frutto del caso in entrambi i casi». Ora quali le nuove sfide per il “Sistema Italia”? «Rivincere la Davis, dimostrando che non si è trattato di un episodio isolato, enfatizzando i concetti di cui sopra, conquistare la medaglia alle Olimpiadi e arrivare a un titolo Slam»

di Roberto Bertellino

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Già un milione di praticanti

Padel e Pickleball sul filone del tennis

Il padel è esploso a livello di numeri: dal 2019 a oggi la crescita è stata impressionante Italia, Brasile e Francia nazioni al top

I lpadel si è affermato come una realtà solida e capace di durare, qualcosa di più di un passatempo passeggero. La stagione del 2023 ha rappresentato una svolta decisiva, dissipando ogni dubbio sulla crescita di uno sport che, nel periodo post-pandemico, ha raggiunto una popolarità sorprendente. Il padel ha conquistato il cuore di numerosi appassionati, attirando anche molti praticanti dal tennis e da quello che volgarmente viene chiamato “calcetto”. Il successo tra gli amatori pone le basi numeriche per il futuro e per la crescita in ambito professionistico. Questi obiettivi sono in linea con la visione della Federazione Italiana Tennis e Padel, che proprio quest’anno ha cambiato il proprio nome per certificare l’affiliazione alla disciplina più giovane.

NUMERI E PROSPETTIVE

La crescita dei tesserati dal 2019 è del 489%: da poco meno di 9.000 agli oltre 50.000 che oggi sono affiliati alla FITP. I numeri del trionfo del padel sono ancora maggiori, i praticanti stimati sono infatti 1,2 milioni. La facilità di apprendimento lo avvantaggia sul complicato tennis e il divertimento unito a un’attività fisica stimolante è alla portata di tutti. Creata la base è giunto il momento di formare i giocatori del futuro. il focus principale è sull’attività giovanile, fondamentale per provare a colmare il netto divario con gli atleti spagnoli e argentini, a oggi dominatori assoluti del panorama mondiale. L’Italia arriva subito dopo con Brasile, Francia e pochi altri, come testimoniano i tanti podi nelle rassegne iridate a squadre senior e juniores. Il destino della disciplina passerà soprattutto per le mani della Federazione Internazionale Padel del presidente Luigi Carraro. Il primo grande passo è già stato compiuto e verrà finalizzato nel 2024 con la partenza a pieno ritmo del circuito mondiale Premier Padel. Fondato nel 2022 è stato in grado di inglobare il World Padel Tour, offrendo maggiori montepremi e soprattutto portando lo spettacolo dei migliori al mondo in più Paesi ed in autentiche cattedrali dello sport come il Foro Italico e l’impianto del Roland Garros. Questo fa parte di una visione ancora più ampia: l’ambita svolta olimpica che da sogno sta diventando sempre più un obiettivo concreto. Il primo successo è stato segnato dalla presenza del padel agli European Games 2023 di Cracovia, ma questo vuole essere solo l’inizio e presto partirà la lotta per un posto nel programma olimpico di Brisbane 2032. 

PICKLEBALL IN COPPIA NUOVO DIVERTIMENTO

Dopo il padel, arriva il pickleball. Prosegue con successo il filone di discipline alternative al tennis, che si distinguono per facilità di approccio e minor dispendio di energie fisiche. Nato negli Stati Uniti d’America negli anni ‘60, il pickleball si gioca in un campo più piccolo rispetto al tennis, con una rete più bassa, racchette simili a quelle del ping-pong (ma più grandi) e una palla perforata simile a quella del Wiffleball.

I SEGRETI

L’accessibilità è l’aspetto più accattivante. Facile da imparare, dunque adatto a tutte le età e i livelli. Le dimensioni ridotte e la velocità moderata del gioco lo rendono meno impegnativo degli sport concorrenti. Sorridono anche i circoli che, con costi di costruzione ed eventuale smantellamento decisamente minori rispetto al padel, possono installare quattro campi da pickleball usando lo spazio di un semplice campo da tennis. Gli States, patria del gioco, dettano legge con ben 4,8 milioni di giocatori. In Italia il pickleball sta prendendo piede ed è stato abbracciato dalla FITP, interessata a diventare sempre più una federazione multidisciplinare. A livello regolamentare la disciplina combina elementi del badminton, del tennis da tavolo e del tennis. Praticato individualmente o in coppia, si vince raggiungendo un punteggio prefissato, che a seconda della competizione può essere 11, 15 o 21. In campo si differenzia per la presenza dell’area definita come “cucina”, ovvero la zona vicino alla rete dove è vietato colpire la palla al volo. Le regole sono semplici, ma nella sua maggiore espressione il gioco richiede una grande intelligenza tattica che rende lo spettacolo appetibile anche dal punto di vista televisivo. La promozione del gioco, sia a livello amatoriale sia in termini di attività, sarà uno dei principali obiettivi della FITP per il 2024. L’Italia intanto può già vantare il maggior numero di campi in Europa grazie a un approccio lungimirante che potrebbe seguire la scia dei tanti investimenti avvenuti in America. Da Tom Brady a LeBron James, passando per Draymond Green, Kevin Love, James Blake e Kim Clijsters sono tanti gli atleti ad aver investito sullo sviluppo della Major League Pickleball. L’espressione agonistica del gioco al momento risalta nelle competizioni a squadre e nelle esibizioni tra vip ed ex atleti. La MLP è già stata trasmessa da CBS Sports Network raggiungendo un pubblico mainstream. L’impressione oltreoceano è che sia solo l’inizio.

di Lorenzo Ercoli

Il tennis siamo noi: i numeri di Sinner
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Il tennis siamo noi: i numeri di Sinner

Titoli ATP vinti
10
Ranking ATP attuale
4
Vittorie contro numero 1 ATP
2
Vittorie in carriera
190

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