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Djokovic senza più fuoco

Djokovic senza più fuoco

Redazione

20.01.2017 ( Aggiornata il 20.01.2017 08:09 )

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Poco più di sei mesi fa tutto il mondo del tennis osservava Novak Djokovic lanciato verso la conquista del Grand Slam, dopo avere finalmente conquistato il Roland Garros. Il serbo sembrava indistruttibile, soprattutto psicologicamente, e le poche sconfitte (come quella al Foro Italico con Murray, un segnale importante ma soltanto con il senno di poi) trovavano sempre giustificazioni in situazioni particolari. Poi indubbiamente qualcosa si è rotto e non certo per la sconfitta con Querrey a Wimbledon. Problemi privati si sono inseriti nella sua evoluzione come uomo, con il tennis messo in un'altra prospettiva pur mantenendo lui formalmente lo stesso ritmo di allenamento. La prestazione offerta agli Australian Open, vinti in cinque delle precedenti sei edizioni, con Istomin spiega tutto: il serbo stava bene e stava anche portando a casa la partita, ma giocando quasi svogliato, con numerosi passaggi a vuoto, senza fuoco (Wilander ha definito 'piatto' il Djokovic degli ultimi mesi). Nel tennis maschile se il numero 2 del mondo cala di testa anche soltanto di un 10%, diventa preda del numero 117 in giornata di grazia e così è stato, anche se Djokovic contro chi gli è nettamente inferiore non perde davvero mai. Da qui a dire che Djokovic sia finito o in declino ce ne passa, visto che nei sei mesi del suo presunto declino ha vinto il Masters 1000 di Toronto, ottenuto una finale degli US Open perdendola da Wawrinka, quella alle ATP Finals perdendola con Murray e due settimane fa a Doha ha trionfato battendo il solito Murray in una finale tiratissima risolta come ai 'vecchi' tempi, con scelte giuste nei momenti decisivi. Insomma, il declino è un'altra cosa. Certo, era dal 2008 che non usciva al secondo turno (ma l'avversario era Safin, a Wimbledon) di un torneo dello Slam, ma guardando soltanto al campo Djokovic non appare un giocatore logoro come può esserlo Federer e come veniva considerato il quasi coetaneo Nadal fino a poco tempo fa. Molto notata la scomparsa di Boris Becker al suo angolo, ma la collaborazione con il tedesco non è mai andata in realtà oltre il marketing (grande cruccio di Nole, che in termini finanziari ha un po' scontato il fatto di non avere il passaporto di un grande mercato), troppo citata la presenza di Pepe Imaz, definito 'santone' tipo quello che nel 1991 a Monte Carlo apparì al fianco di Borg, ma comunque un allenatore professionista (ha una academy a Marbella) oltre che un ex tennista. Situazione in divenire, perché in dicembre Becker ha dichiarato alla Bild Zeitung che Djokovic gli avrebbe chiesto di tornare. Di certo non è uscito di scena, né mai mai lo farà perché il campione lo considera uno di famiglia, il suo storico allenatore Marian Vajda, anche se viaggia al seguito di Djokovic un po' meno di prima. Nessuno avrebbe mai pensato che il primo dei Fab Four (o Five, perché secondo noi Wawrinka ci può stare per classe di età e status) a calare di testa sarebbe stato Djokovic, invece sta accadendo proprio questo. C'è chi ha vinto cose importanti anche oltre i trent'anni, anche nell'era Open, ma nessuno lo ha fatto senza crederci. Cambiando motivatore Djokovic ha individuato il problema appena si è presentato.

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