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Hannah Cunliffe e la campagna acquisti

Hannah Cunliffe e la campagna acquisti

Redazione

19.05.2016 ( Aggiornata il 19.05.2016 07:53 )

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Una ragazza italiana sotto gli 11 secondi nei 100 metri? Bellissimo, quasi da non crederci. Infatti non è vero. La ventenne Hannah Cunliffe è statunitense, sia di nascita che di formazione, di italiano ha soltanto un trisnonno che non è nemmeno chiaro se abbia conservato o no la cittadinanza dopo essere emigrato da Cosenza oltre un secolo fa. Il nome di questa splendida atleta, che mentre scriviamo queste righe è la quinta centometrista del 2016 (dopo Tori Bowie, Dafne Schippers, Veronica Campbell-Brown e Jenna Prandini), diventerà sempre più familiare agli appassionati italiani perché l'operazione Cunliffe-Italia è iniziata da mesi e la FIDAL, ricca di mezzi ma non di atleti di vertice, ha molta voglia di aggiungere un quarto atleta da medaglia a Rio, dopo Tamberi, Schwazer e la Giorgi. Sfugge la convenienza sportiva e finanziaria della Cunliffe, che potrebbe guadagnarsi i Giochi anche da americana e che da americana avrebbe molte più potenzialità di marketing (essendo anche di pelle bianca, potremmo dire con cinismo), al di là del coinvolgimento della famiglia, a partire dal padre-allenatore. Una storia in cui si mescolano forzature della legge ordinaria e di quella sportiva (la Cunliffe ha già gareggiato per la nazionali giovanili USA), che di sicuro nelle prossime settimane avrà sviluppi in un senso o nell'altro. La nostra sensazione è che con Seb Coe al vertice della IAAF queste campagne acquisti spacciate per naturalizzazioni saranno rese molto più difficili, un po' con la dissuasione e molto con nuove regole. Ma il vero punto è un altro e non riguarda solo la Cunliffe, visto il numero di atleti neo-italiani degli ultimi mesi, che italiani lo sono diventati soltanto da atleti professionisti. Per un movimento hanno senso medaglie e piazzamenti conquistati in questo modo? Non stiamo parlando di Qatar, Bahrein o Turchia, che quasi alla luce del sole regalano passaporti, e nemmeno di Inghilterra o Francia che hanno il vivaio immenso delle ex colonie. Stiamo parlando di un movimento come il nostro, retto fondamentalmente dal volontariato e dalla passione, a cui si lancia un messaggio pericoloso: inutile impegnarsi per arrivare in alto, quando avendo i soldi (e lo sport italiano li ha, anche se piange sempre miseria) puoi arrivare ai migliori talenti del mondo, formati da altri e senza ovviamente alcun senso di appartenenza diverso dalla convenienza. Discorso che c'entra zero con i cosiddetti 'nuovi italiani', ragazzi che a tutti gli effetti si sono formati come atleti in Italia e i cui eventuali successi sarebbero sì un motivo di orgoglio per la FIDAL. In generale il superamento della logica dei passaporti ha sportivamente un senso, perché non esiste che il quarto keniano nelle siepi guardi i Giochi da casa. Ma allora Hannah Cunliffe dovrebbe gareggiare in quanto Hannah Cunliffe, non in quanto statunitense, italiana o congolese. Le implicazioni di questa svolta sarebbero evidenti, visto che tutto lo sport mondiale si regge su organizzazioni nazionali. Non si può, insomma, essere nazionalisti quando si vota e non nazionalisti quando si vogliono ingaggiare i migliori sul mercato.  

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