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Il Super Bowl degli Eagles© AFPS

Il Super Bowl degli Eagles

La squadra di Philadelphia ha conquistato per la prima volta il trofeo più ambito dello sport americano, battendo 41-33 i New England Patriots di Tom Brady. Nessuna protesta durante l'inno, ma in ogni caso il relativo calo di interesse per questo sport ha poco a che vedere con Trump...

Stefano Olivari

05.02.2018 11:34

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Il cinquantaduesimo Super Bowl è andato molto al di là dell’evento mediatico che tutti conoscono, tenendo incollati davanti a Philadeplhia Eagles – New England Patriots anche i non tifosi di tutto il mondo: In Italia siamo andati oltre le quattro del mattino… Partita tiratissima, un po’ a sorpresa dominata dagli attacchi (1.151 yard complessive, record), e vinta dalla squadra di Philadelphia che ha così per la prima volta conquistato il titolo più ambito dello sport americano, anche se altri sport godono di maggiori riscontri all’estero. Tom Brady è andato vicino all’ennesima rimonta della sua non ancora finita, anche se ha 40 anni, carriera: una partita eccellente e un quarto quarto clamoroso, anche se chiuso da un fumble (cioè un pallone riconquistato dalla difesa avversaria, dopo che Brady aveva subito un sack) che è forse stato la giocata della partita, e il record di yard di passaggio (505!), non sono bastati per il suo sesto Super Bowl. L’eroe ed MVP della partita è stato l’altro quarterback, Nick Foles, in poche settimane passato da riserva di Carson Wentz a uomo del destino.

Poche ore dopo la fine del Super Bowl il 41-33 per gli Eagles è già storia, mentre le proteste di molti giocatori contro Trump continuano a fare notizia. Anche quando non ci sono, come appunto nel caso della partita di Minneapolis in cui ci è stato risparmiato il kneeling, cioè l’ascolto dell’inno nazionale con un ginocchio appoggiato per terra: moda nata in seguito alla vicenda Kaepernick e continuata senza un vero perché, ma soprattutto in contrasto con la maggioranza dei tifosi NFL. Trumpiana o comunque repubblicana, anche se non a livelli della NASCAR. Comunque al Super Bowl, durante l’inno cantato da Pink, la protesta si è presa una pausa anche se sia Eagles sia Patriots hanno avuto durante la stagione più di un giocatore che l’ha condivisa a portata avanti (anche nella versione B del pugno chiuso dopo la fine dell’inno). E lo stesso Trump, dopo i tweet roventi di qualche mese fa (aveva scritto che i giocatori che protestavano durante l’inno avrebbero dovuto essere licenziati), ha tenuto un profilo basso, limitandosi a ringraziare la polizia che rende possibili questi grandi eventi. Ci saranno altre puntate.

Il Super Bowl è in ogni caso un mondo a parte, pur essendo sempre football, ma sulla stagione in generale si possono fare tranquillamente confronti con il recente passato. Che dicono, secondo i dati della Nielsen, che la lega ha visto crollare di quasi il 10% i suoi indici di ascolto durante la stagione regolare. Una percentuale che corrisponde in maniera quasi perfetta al calo degli eventi principali, in particolare il Sunday Night (sulla NBC) e il Monday Night (sulla ESPN), che sarebbe un errore analizzare solo in chiave politica: infatti alcune squadre che godono di un tifo trasversale in tutta la nazione, tipo i Dallas Cowboys, hanno avuto una stagione anonima e il calo negli ascolti non è storia di quest’anno ma arriva dopo il meno 8% della stagione precedente. Il giochino Trump sì-Trump no, caro ai media italiani, conta quindi poco. Ognuno ha la sua spiegazione, qualcuno ha dato la colpa anche al Red Zone Channel che permette di saltare da una partita all’altra (chiaramente alla domenica) e ha quindi mutato le abitudini di ascolto soprattutto dei più giovani. Il vero problema potrebbe proprio essere questo: i ragazzi guardano meno la televisione rispetto ai loro genitori, di sicuro hanno meno la cultura dello stare quattro ore inchiodati di fronte a uno schermo senza cambiare canale o fare qualcosa d’altro. È solo una tendenza, perché la fotografia del presente dice che 37 dei 50 programmi più visti della stagione sono stati partite di football, ma è una tendenza al ribasso. E comunque a Philadelphia hanno adesso altro a cui pensare.

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