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La Sharapova e il doping alla russa

La Sharapova e il doping alla russa

Redazione

08.03.2016 ( Aggiornata il 08.03.2016 10:16 )

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Di russo lei ha ormai soltanto le origini, visto che vive negli Stati Uniti dall'età di nove anni, ma questo non toglie che la vicenda doping di Maria Sharapova si inserisca in un quadro più ampio che vede alcuni stati canaglia messi nel mirino dalla WADA e da qualche singola federazione (non certo la FIFA, i calciatori giocano ogni tre giorni ma hanno straordinarie doti naturali di recupero). Intanto perché il Mildronate è un farmaco anti-ischemico che viene usato soprattutto in paesi dell'ex Unione Sovietica e in sport che richiedono prestazioni di diverso tipo: è considerato doping soltanto da tre mesi (la linea difensiva della Sharapova, nel senso di ammettere la colpa ma di salvare la buona fede, si basa infatti sull'ignoranza riguardo al cambiamento delle regole), ma il suo utilizzo ormai da decenni lo fa rientrare nelle categoria delle sostanze cosiddette coprenti. Essendo un anti-ischemico (ne prendiamo un 'cugino' anche noi) ha come obbiettivo l'aumento della fluidità del sangue con relativo minore deposito, semplifichiamo, delle sostanze dopanti in senso stretto. La Sharapova nella improvvisa conferenza stampa a Los Angeles ha detto di prendere il Meldonium (Mildronate è il nome commerciale) da una decina di anni, per un principio di diabete: difficile entrare nel merito scientifico della storia, facile notare che i pochi atleti di nome caduti di fronte un controllo antidoping sono quasi tutti appartenenti a sport individuali, senza gente che scende in piazza per loro e senza altra gente che tiri in ballo la funzione 'sociale' della squadra Tizia o Caia. Ancora più significativo che la positività della ventinovenne campionessa di Wimbledon 2004 e di altri quattro tornei dello Slam sia venuta fuori agli ultimi Australian Open, cioè una delle poche situazioni (insieme a Roland Garros, Wimbledon, Us Open e Federation Cup) gestite dall'ITF, cioè dalla federazione internazionale, e non dalla WTA, cioè il sindacato delle giocatrici, l'equivalente dell'ATP maschile, che sovrintende a tutto il resto della stagione. Insomma, i controllati non sono mai buoni controllori. E quindi? Ribadito che quello della Sharapova non è certo doping di stato, per la stessa natura del tennis, è evidente che da qualche mese la Russia è nel mirino non soltanto per questioni sportive. Questo non toglie che motivazioni politiche, anche sporche, possano indirettamente portare a una maggiore pulizia nello sport. Con benefici per quei paesi, come il nostro, per quanto riguarda il doping mediamente (e sottolineiamo 'mediamente') più onesti degli altri.

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