Juventus La stagione 2010-2011 inizia con un cambio ai vertici dirigenziali. Il nuovo presidente Andrea Agnelli nomina come nuovo Direttore Generale Giuseppe Marotta e in panchina arriva l&rsquo;ex tecnico della Sampdoria Luigi Del Neri. Stagione infelice per la Vecchia Signora,&nbsp; la squadra non c&rsquo;&egrave;, &egrave; lenta, impacciata, priva di gioco e di stimoli.&nbsp; Tre sconfitte consecutive (Lecce, Bologna, Milan), zona Champions sempre pi&ugrave; lontana. Due volte rimontata con Catania e Chievo, sconfitta con il Parma (gi&agrave; salvo) tolgono pure l&rsquo;Europa League. La Juventus conclude il Campionato con un settimo posto. BUFFON 6- Il tormentone sul suo futuro (resta o non resta?), il dualismo pacifico con Storaci, gli innumerevoli infortuni, un ingaggio ingombrante: tutti ingredienti che hanno contribuito a far scendere il suo rendimento al di sotto della soglia di eccellenza a cui ci aveva abituato. Possibile un suo trasferimento alla Roma, nonostante un discreto finale di stagione. MOTTA 5- Sopravvalutato agli inizi, quando appena diciottenne percorreva tutta la fascia destra atalantina, ha deluso gli estimatori della prima ora, mostrando scarsa personalit&agrave; e poca predisposizione alla lotta&nbsp; e all&rsquo;agonismo. Sembra abbia smarrito le doti di buon corridore, &egrave; lento e impacciato, a disagio in una grande, dopo le opache prove alla Roma. BONUCCI 6- Sufficienza assai risicata. Dopo un buon inizio, da titolare fisso, incappa in una serie di partite negative che gli fanno perdere sicurezza e fiducia. Merita una seconda chance, dopo la stagione monstre al Bari e gli incoraggianti esordi in Nazionale, al fianco dell&rsquo;ex sodale Ranocchia. Ma non ha ancora l&rsquo;esperienza per guidare una retroguardia importante come quella juventina. CHIELLINI 6,5- Il leone livornese si conferma uno dei migliori difensori della serie A, imprescindibile perno nella linea a 4 delneriana, finisce pure a fare il terzino sinistro, ruolo d&rsquo;origine. Non sar&agrave; mai tecnico come Nesta o completo come Cannavaro, ma pu&ograve; ripercorrere le orme dei grandi difensori azzurri. Ruvido, non abbassa mai la guardia al cospetto di grandi attaccanti, con i quali ingaggia spesso duelli rusticani (memorabili quelli con Ibrahimovic). DE CEGLIE 6- Dopo un promettente inizio di stagione, che ne stava certificando la raggiunta maturit&agrave;, si squaglia a causa di un grosso infortunio che in pratica lo mette ko per tutta la seconda parte della stagione. Peccato. GROSSO 5,5- Mezzo punto in pi&ugrave; per la grande professionalit&agrave; dimostrata una volta chiamato in causa, lui epurato dalla rosa dei titolari. Ormai in fase discendente della carriera, non deve dimostrare alcunch&eacute;. KRASIC 6,5- Difficile giudicarlo alla lunga distanza. L&rsquo;inizio &egrave; da 9, sembra il vero crack, non solo&nbsp; del mercato juventino, ma di tutta la campagna acquisti della serie A. Mai a riposo da 12 mesi, crolla a livello fisico, lui che fa della velocit&agrave; e della freschezza i suoi punti di forza. E&rsquo; comunque uno dei pochi a salvarsi dalla debacle juventina, anche se spesso pecca di eccessivo individualismo: palla a lui che prova a dribblare chiunque. Nel mirino per un periodo a causa di discutibili simulazioni in area di rigore avversaria. FELIPE MELO 5,5- Parte discretamente, in sintonia con il tecnico che lo reputa fondamentale. La dirigenza decide di puntare nuovamente su di lui, anche per giustificare l&rsquo;enorme e spropositato esborso economico valso per acquistarlo due anni fa. Appare pi&ugrave; attento, meno frivolo e pi&ugrave; solido che in passato, ma comunque sempre altamente falloso e svagato a met&agrave; campo. Se sento ancora qualcuno che lo paragona a Dunga giuro che lo scomunico! AQUILANI 6- Altra grossa delusione della stagione, nonostante una buona partenza, una volta superati i guai fisici che lo hanno attanagliato durante il soggiorno nella citt&agrave; dei Beatles. Sinceramente &egrave; difficile che il Liverpool decida di tenerlo, anche perch&eacute; alla Juve dimostra troppo a sprazzi il suo talento di centrocampista raffinato, regista dai piedi buoni e all&rsquo;occorrenza mezz&rsquo;ala o trequartista. Scarsa personalit&agrave; in una zona nevralgica come quella che occupa lui in campo, nel cuore della squadra; tanti buoni tocchi, testa alta ma non ha la stoffa del leader, del condottiero. PEPE 6,5- Si riscatta ampiamente nel finale, dopo una partenza ad handicap che lo ha fatto presto relegare in panchina. Garantisce un impegno encomiabile ovunque lo metti (ma guai a parlare ancora di esperimenti occasionali come il terzino &ldquo;alla Zambrotta&rdquo;), anche se si sta snaturando troppo: in fondo il meglio di s&eacute; lo ha sempre dato in un tridente d&rsquo;attacco, non in un ruolo di spola o di raccordo. DEL PIERO 6,5- Il capitano storico bianconero, per cui ormai si sono conclusi gli aggettivi, i superlativi e i soprannomi, fa la sua parte sempre. Segna gol talora pesanti, guida tutta la squadra, non molla mai, soffre pi&ugrave; di tutti nel veder affondare la squadra per la quale ha speso tutta la carriera. Ha rinnovato per un altro anno. Giusto cos&igrave;, a 37 anni &egrave; ancora il giocatore pi&ugrave; qualitativo del gruppo, un esempio unico e (forse) inimitabile. MATRI 7- Uno degli attaccanti tra i pi&ugrave; prolifici che a gennaio hanno cambiato squadra (insieme a Floro Flores e all&rsquo;ex juventino Amauri.. scherzi del destino!), saluta l&rsquo;amata Cagliari da idolo offensivo e si inserisce alla perfezione nel confuso mosaico bianconero, mantenendo inalterata la media gol. Attaccante d&rsquo;altri tempi ma allo stesso tempo moderno, segna in tutti i modi. Lo attendiamo per una conferma. IAQUINTA 6- Gioca pochissimo, difficile giudicarlo. Giunto probabilmente al termine dell&rsquo;esperienza juventina, stesse bene sarebbe un titolare fisso, visto che non fa mai mancare gol, impegno, determinazione, profondit&agrave; (&egrave; l&rsquo;unica punta del roster a possedere questa caratteristica). TONI 6- Di stima. Dopo la negativa esperienza genoana, si cala nei panni dell&rsquo;attaccante esperto a fine carriera, che deve nei scampoli di gara concessi dal mister fare la differenza, facendo valere il suo curriculum. Qualche volta ci &egrave; riuscito, anche se la parabola discendente della sua esperienza ad alti livelli sembra evidente. GRYGERA 5- Panchinaro per scarsa qualit&agrave;, gioca poco rispetto agli anni precedenti per precisa scelta tecnica del mister. La maglia bianconera in fondo gli era sempre stata larga. SORENSEN 6- Appena diciottenne, viene buttato nella mischia nel momento del bisogno. Una scommessa dapprima vinta con coraggio, mentre sulla lunga distanza ha mostrato lacune inevitabili vista la scarsa esperienza. Nato centrale, ha esordito da terzino, mostrando buone doti di corsa e tempismo, anche se &egrave; parso sovente in difficolt&agrave; contro avversari molto pi&ugrave; navigati di lui. MARCHISIO 6,5- Uno dei pi&ugrave; positivi della squadra, il capitan Futuro juventino rischia di disorientarsi a furia di cambiare posizione in zona mediana. L&rsquo;ex nuovo Tardelli predilige giocare da interno, ma spesso Del neri lo ha sacrificato in fascia, posizione che lo ha assai penalizzato. Stabilmente in Nazionale, &egrave; uno di quegli elementi dal quale irrimediabilmente ripartire. STORARI 7,5-&nbsp; A tratti il miglior portiere della stagione, protagonista di parate straordinarie, reclama giustamente (anche se con un certo coraggio) una maglia da titolare, anche dopo il ritorno di Buffon. Alla resa dei conti ha mantenuto un rendimento pi&ugrave; elevato del titolato compagno, col quale il rapporto &egrave; di sana rivalit&agrave; ma anche di piena stima reciproca. TRAORE&rsquo; 4- Leggero, impalpabile, perennemente in infermeria, non sembra un giocatore da Juve, ma in certi frangenti non &egrave; sembrato nemmeno un giocatore. Ricalcher&agrave; le orme di predecessori illustri sulla fascia mancina juventina come Athirson o Sorin? SALIHAMIDZIC sv- Brazzo a differenza di Grosso fa quasi lo spettatore, in una stagione da separato in casa. Triste finale di carriera per il plurititolato bosniaco, positivo pure nelle prime apparizioni bianconere. SISSOKO 5- Rimane un enigma il centrocampista maliano. Stecca nuovamente, non a suo agio in un rigido 4-4-2. Fisico da granatiere, ma caratteristiche tecniche che lo differenziano molto dal Vieira al quale spesso fu accostato in giovent&ugrave;, predilige piuttosto partire palla al piede, anche se i suoi fondamentali non sono proprio di prim&rsquo;ordine. Deve trovare una squadra che punti decisa su di lui e rimboccarsi le maniche, se non vuole scivolare presto nell&rsquo;anonimato. BARZAGLI 6- Acquistato per raddrizzare la baracca, l&rsquo;ex pupillo di Del Neri ai tempi gloriosi del Chievo, mostra grande carattere e voglia di dare una mano. Pienamente sufficiente, scalza Bonucci dal ruolo di titolare nelle ultime partite di campionato. MARTINEZ 4- Il flop della stagione. Pi&ugrave; in infermeria che in campo, quando gioca (sempre fuori ruolo, giacch&egrave; fare l&rsquo;ala non &egrave; proprio il suo mestiere) non d&agrave; nessun contributo tangibile. Del satanasso ammirato sotto l&rsquo;Etna rimangono poche tracce. Incomprensibile l&rsquo;investimento cospicuo operato dalla dirigenza. QUAGLIARELLA 7- Assieme a Storari e Krasic l&rsquo;uomo in pi&ugrave; dei bianconeri di inizio stagione. Sembra spaccare il mondo, si inserisce alla grande negli schemi, segna come non mai, mostra un repertorio di prodezze degno della sua fama ma.. sul pi&ugrave; bello subisce un grave infortunio che lo stoppa per tutto il girone di ritorno. Un grande peccato per questo attaccante che si stava imponendo in maglia juventina. RINAUDO sv- Chi l&rsquo;ha visto? Ennesimo &ldquo;bidone&rdquo; rifilato alla Vecchia Signora in fase di mercato, il pur bravo centrale difensivo non vede mai il campo in quanto rotto e perennemente frenato da noie fisiche e muscolari. GIANDONATO sv- Promettente nei suoi inizi in serie A, pu&ograve; rinverdire i fasti dei vari Paro e Marchisio lanciati con successo in prima squadra negli ultimi anni.  &nbsp;Di Gianni Gardon

Il campionato di serie A si conclude con una stagione infelice per la Juve di Del Neri

Le pagelle di serie A: stagione infelice per la Juventus

La Juventus ha scelto dunque di ripartire da Conte, sostituto ormai certo di Del Neri per la prossima stagione. Dall&rsquo;allenatore giunto quarto l&rsquo;anno precedente (con la Sampdoria) si &egrave; passati al tecnico promosso in Serie B (con il Siena). N&egrave; Villas Boas, campione di Portogallo e finalista stasera di Europa League, n&eacute; il pi&ugrave; domestico Mazzarri, terzo con il Napoli.  In attesa di Pirlo e Aguero, dati oggi come probabili arrivi, dico subito che Conte a me piace. O meglio: le sue squadre, in particolare il primo Bari, mi hanno divertito parecchio. Avendolo visto dal vivo, posso testimoniare che le linee sono davvero quelle di un netto 4-2-4. Per cui immagino Krasic, e l&rsquo;acquisto atteso per la sinistra, diventare attaccanti aggiunti.  Ma il problema &egrave; un altro. Conte ha la sufficiente esperienza per gestire uno spogliatoio complesso e deluso come quello juventino? Non gli mancano temperamento e grinta, certo, ma da soli non bastano. Anzi, a vedere il precedente di Bergamo, dove &egrave; rimasto in sella appena 13 giornate (3 vittorie, 4 pari e 6 sconfitte), prima di scontrarsi con Doni, possono essere persino un ostacolo.  La differenza la segna in questi casi la societ&agrave;. Che ha l&rsquo;obbligo di proteggere il suo tecnico e di mettere in riga i giocatori. Lippi riusc&igrave; a vincere subito a Torino, ma alle spalle aveva una Triade che faccio fatica - oggi - a rivedere in Marotta, Paratici e Nedved. Oper&ograve; scelte radicali, come le far&agrave; Conte. Eppure c&rsquo;&egrave; bisogno di sostegno, fiducia, compattezza d'ambiente. Antonio ha fatto benissimo a Bari e a Siena, guardacaso sempre in abbinata con Giorgio Perinetti, uno dei migliori dirigenti italiani di calcio. Uomo di Moggi, si diceva un tempo, ma questo sarebbe persino un plusvalore in chiave Juve. Una volta lasciato scoperto, mi riferisco ovviamente all&rsquo;Atalanta, il risultato di Conte &egrave; stato molto diverso. Avanzo dunque una provocazione, che come tale dovr&agrave; essere accolta: alla Juve serve pi&ugrave; Conte o Perinetti?

Alla Juve serve pi&ugrave; Perinetti di Conte

  Imputato: Riccardo Garrone, Presidente della Sampdoria   Dalla Champions all'incubo della B. Tutto in meno di dodici mesi. Destino, questo, della Sampdoria, che a due giornate dalla fine del campionato, si trova al terz'ultimo posto in classifica, a due punti dalla salvezza. E' facile, troppo facile, puntare il dito indice contro la societ&agrave; e dare a loro la colpa di questa stagione fallimentare. Iniziata con la sfida europea al Werder Brema, con Cassano e Pazzini in campo (i nuovi Vialli e Mancini, ricordate?) e chiusa con Maccarone e Biabiany. Ma il Presidente Garrone, che in estate ha lasciato andare via la coppia Marotta - DelNeri, sostituendola prima con Gasparin - Di Carlo e poi con Tosi - Cavasin, &egrave; colpevole al 100% oppure no?   Dopo la sconfitta di ieri nel derby di Genova, sul banco degli imputati, c'&egrave; lui.   Colpevole, perch&egrave;?   1 - Dopo un litigio, non ha perdonato Cassano e lo ha lasciato andare via. Qualcuno ha detto che per il bene della Samp avrebbe potuto chiudere un occhio. L'ho fatto gi&agrave; altre e tante volte, ha risposto lui. L'assenza di Antonio ha pesato pi&ugrave; del previsto, per&ograve;.   2 - Ha venduto Pazzini all'Inter. E di conseguenza, dopo l'addio a Cassano, ha di fatto, stravolto l'attacco sampdoriano mettendo in difficolt&agrave; ambiente e allenatore.   3 - Con i soldi incassati per la cessione di Pazzini non &egrave; riuscito a comprare un degno sostituto. E il mercato di gennaio &egrave; stato un mezzo fallimento. Maccarone, Biabiany, Macheda: 3 gol in tre.   4 - In estate non ha rinforzato la squadra. Il Ds Gasparin non si &egrave; rivelato all'altezza del suo predecessore. La priorit&agrave; &egrave; stata solo quella di trattenere i big.   5 - Ha litigato con lo stesso Gasparin (il quale voleva pi&ugrave; autonomia nelle decisioni di mercato), ha mandato via Di Carlo dopo avergli venduto il reparto d'attacco. Un mezzo suicidio, ma nessuno, pensava, che le conseguenze sarebbero state tanto gravi.   Innocente, perch&egrave;?   1 - Il caso Cassano non l'ha fatto scoppiare certo Garrone. Se il barese avesse accettato di presenziare a quel premio non ci sarebbe stato nessun litigio. E Fantantonio sarebbe ancora in maglia blucerchiata e la Samp, di conseguenza, salva da un po'.   2 - Ha venduto Pazzini, vero, ma ha preso Macheda. Un giocatore del Manchester United, un attaccante che volevano in molti. Certo, non avrebbe fatto i gol del Pazzo, ma nessuno, proprio nessuno, poteva aspettarsi un rendimento cos&igrave; basso. 0 reti fatte e qualche spezzone anonimo di partita.   3 - Rispetto ad un anno fa ha cambiato solo i due uomini d'attacco, tutti gli altri sono rimasti. Possibile che con gli stessi 9/11 e un allenatore diverso una squadra possa rischiare di andare in B? Garrone non lo poteva certo prevedere.   4 - Tutte le scelte che ha fatto le ha fatte sempre per amore della Samp, compresa la vendita di Pazzini. Poi sono subentrate componenti psicologiche che l'allenatore di turno non &egrave; riuscito a gestire, facendo precipitare i blucerchiati in fondo classifica.   5 - Chiamatela sfortuna, caso, episodi. Componenti non prevedibili nel calcio. Pali, rigori sbagliati, gol subiti nei minuti di recupero. Molti punti la Samp li ha persi anche cos&igrave;. Per colpa di nessuno.   Francesco Aquino                 

Garrone: colpevole o innocente?

Il nome di Roberto Mancini viene spesso accostato all&rsquo;Ennesima Nuova Juventus Degli Agnelli. Il suo amico procuratore ha incontrato Marotta. Lui ha cercato di smarcarsi dall&rsquo;ingombrante passato nerazzurro, rievocando il bambino che tifava Juventus. Lo stesso Moggi &ndash; adesso, non quando spadroneggiava &ndash; ha deciso di parlarne bene. Scottato dall&rsquo;aver rifiutato Stankovic e strapagato Melo, il tifoso juventino storce la bocca, ma non se la sente di alzare nuovi fuochi di sbarramento. Quello che non torna &egrave; come si possa credere che la Juventus &ndash; cos&igrave; attenta ai bilanci - moltiplichi per 7 l&rsquo;ingaggio che paga all&rsquo;allenatore (Del Neri &egrave; intorno al milione di euro, Mancini viaggia oltre gli 8 a stagione), senza contare l&rsquo;anno di contratto del ripudiato Del Neri. Ancora, come si fa a sottovalutare il fatto che il Manchester City &egrave; a un passo dalla zona Champions (dove non ha mai giocato), sta per vincere la prestigiosa Coppa d&rsquo;Inghilterra (lo Stoke City non pare un ostacolo insormontabile) e asseconda le ambizioni di uno sceicco a cui non par vero investire 100 milioni di sterline a stagione. Dall&rsquo;altra parte, la Juventus rischia di non entrare nemmeno in Europa League (se il Palermo vince la Coppa Italia) e deve cavarsela con la finanza creativa dei &ldquo;prestiti con diritto (obbligo) di riscatto&rdquo;. Chi glielo fa fare, a Mancini? Capirei se qualcuno scrivesse che la famiglia Mancini ama la bagnacauda, i gianduiotti e il festival del cinema, e non ne pu&ograve; pi&ugrave; del clima freddo-umido di Manchester. Ma usare l&rsquo;argomento della &ldquo;vendetta&rdquo; di Mancini nei confronti di Moratti, &egrave; un&rsquo;offesa all&rsquo;intelligenza dei lettori. Rudi Ghedini

Roberto Mancini alla Juve? Inverosimile

Mi telefona un amico, un caro amico che da anni vive dentro la Juventus. &laquo;Guarda che Buffon non giocher&agrave; pi&ugrave; per quest&rsquo;anno. Ormai ha rotto con la societ&agrave; e ha capito che Marotta e il resto della truppa hanno scelto Storari. Far&agrave; un&rsquo;apparizione contro il Napoli all&rsquo;ultima giornata, ma solo per salutare i tifosi&raquo;. Metto gi&ugrave; il telefono e rifletto: ha ragione lui. Ripenso all&rsquo;ultima intervista di Storari, che alla Gazzetta dello Sport ha parlato non da dodicesimo, bens&igrave; da numero uno. Ripenso alla strana malattia di Gigi, in particolare a quella sopraggiunta un attimo prima della partita contro la Roma (sua futura squadra?). Ripenso alle parole di Gigi Del Neri di qualche mese fa che segnalarono per prime la novit&agrave;: invece di esultare per il ritorno del portierone azzurro, mise in discussione le gerarchie, salvo una timida retromarcia tentata l'indomani. Evidentemente la Juventus ha fatto una scelta da tempo. Aggiungo che Storari si sta dimostrando un portiere affidabile e che a 34 anni ha vinto la sua scommessa: superare il numero 1. Ma perch&eacute; questo mistero su Buffon, sulle sue condizioni fisiche e di separato in casa. I mal di schiena e le sindromi influenzali prima o poi passano, specie le seconde visto che i calciatori sono tutti vaccinati. Mi auguro di vedere Buffon domenica a Firenze, per mettere a tacere le insinuazioni e per smentire nel modo migliore quella telefonata. La scorsa non &egrave; andato nemmeno allo stadio a vedere la squadra vincere contro il Genoa, &egrave; stato con Alena e i bambini. Bocca cucita la Juve, bocca cucita lui. Almeno per ora. Tuttavia mai dimenticare che da Campione del Mondo e da vicepallone d&rsquo;oro questo ragazzo &egrave; andato in Serie B. Qualcosa significher&agrave; ancora per i tifosi. Se c'&egrave; qualche juventino all'ascolto, si esprima.  PS Tra le altre cose resta sospesa anche la vicenda del contratto di Del Piero In esclusiva al Guerin Sportivo disse a gennaio che avrebbe voluto chiudere presto, probabilmente entro marzo. Siamo gi&agrave; ad aprile e Ale ha persino annunciato di essere pronto a firmare in bianco. Ma non in bianconero?

Mistero Buffon

Dicono i vecchi saggi del calcio che per costruire una grande squadra occorre fantasia. Per ricostruirla ci vuole soprattutto pazienza. Esattamente la dote che &egrave; mancata alla Juventus, nella corsa affannosa all'inseguimento della passata grandezza. Intendo Juventus in senso lato, dai dirigenti che si sono alternati al comando, nel dopo-Calciopoli, agli ottimisti che si sono accaniti prima contro Ranieri e poi contro il suo pallido erede Ferrara, come se un secondo posto fosse un oltraggio  al blasone, agli stessi tifosi, che fruendo anche dei moderni mezzi informatici hanno preso a martellare contestazioni preventive, complicando ulteriormente l'opera dei gi&agrave; confusi architetti. Si spiega anche cos&igrave; il fatto che il club abbia speso nelle ultime stagioni cifre impressionanti, senza riuscire a essere oggettivamente competitivo per i massimi traguardi.  Quest'anno la saggezza di Marotta e il ruvido pragmatismo di Del Neri, assistiti dal ritorno allo scoperto della dinastia Agnelli, attraverso il giovane Andrea, parevano aver fatto rifiorire gli entusiasmi. in effetti, malgrado i pareri contrari di autorevoli commentatori, la squadra si stava esprimendo al di sopra dei propri limiti, quando sul finire del girone d'andata la duplice consecutiva scoppola incassata dal Parma e a Napoli, l'ha ripiombata in acque procellose.  Un campionato a basso punteggio, in testa, consente a molti di nutrire speranze di rientro. Ma in pura linea tecnica, "questa" Juventus non vale le grandi, anche se il carattere e l'ostinazione le hanno consentito di aggiudicarsi, a sorpresa, alcuni scontri diretti.  Dal ritorno in Serie A la Juventus ha speso poco o ha speso male? Buona la seconda. A partire dalla gestione Blanc-Secco, nel corso della quale, in tre stagioni, sono state investite risorse sproporzionate in acquisti e che si sono rivelati o fallimentari o ininfluenti.  Qualche nome e qualche numero. Nell&rsquo;annata 2007- 08 sono usciti dalle casse oltre sessanta milioni per Tiago (13), Almiron (9), Jorge Andrade (10), Sissoko (11), Iaquinta (11,3). Soltanto quest&rsquo;ultimo, per quanto bersagliato da ripetuti infortuni, &egrave; stato (e sar&agrave;) utile alla causa. Tiago rispedito al mittente, Almiron e Jorge Andrade a chi l&rsquo;ha visto?, Sissoko separato in casa e tollerato, non so quanto a lungo, per mancanza di alternative nelle rotazioni. L&rsquo;anno dopo, si &egrave; speso poco pi&ugrave; della met&agrave;, ma per due soli giocatori: Amauri (22,8) e Poulsen (9,75). Evito commenti.  In compenso, nel 2009-10 cinquantadue milioni ripartiti fra Felipe Melo e Diego, circa 25 a testa, con il modico supplemento di 2 per Grosso di ritorno dalla non brillantissima avventura francese. Sar&agrave; stata anche sfortuna. Per&ograve; Diego non si &egrave; mai compiutamente calato nella realt&agrave; italiana e juventina in particolare (sulle qualit&agrave; del fantasista non &egrave; lecito il dubbio), mentre Felipe Melo, giocatore di fondamentale importanza sotto il profilo tattico, si &egrave; rivelato purtroppo preda di raptus comportamentali che ne hanno pesantemente condizionato il rendimento, con risultati devastanti per la squadra, anche nel recente periodo che pure si era avviato con le stimmate del completo riscatto. A occhio e croce, quasi 150 milioni - in minima parte rientrati dalle successive cessioni - per lasciare tutto al punto di prima. Cio&egrave; a una distanza lungi dall&rsquo;essere colmata nei confronti della concorrenza, in particolare di un&rsquo;Inter nel frattempo impegnata a vincere tutto, con Mancini prima e Mourinho poi. E con giocatori fra i quali puntualmente svettava Dejan Stankovic, il cui passaggio gi&agrave; praticamente concluso alla Juventus (sarebbe stato l&rsquo;unico affare azzeccato) era stato impedito dalla massiccia, e per me inspiegabile, sollevazione della piazza.  Cos&igrave; la famiglia Agnelli ha rotto gli indugi, si &egrave; ripresa il giocattolo, si fa per dire, e ha deciso una radicale inversione di rotta. La costante, sin qui, &egrave; stata per&ograve; l&rsquo;entit&agrave; degli investimenti a fronte di modesti esiti tecnici. L&rsquo;abilit&agrave; di Marotta ha consentito di dilazionare i pagamenti, giostrando fra prestiti e rateizzazioni, in modo da non sforare il budget. Ma il valore attribuito ai vari giocatori ingaggiati &egrave; nella maggior parte dei casi eccessivo, talora in modo imbarazzante. Passi per i quindici milioni di Krasic, uno dei pochi in grado di fare la differenza, specie se dimenticher&agrave; in fretta l&rsquo;emulazione per lo sport di Di Biasi e Cagnotto (gli arbitri hanno la memoria lunga, se li freghi una volta poi ti mettono nel libriccino nero). Ma i 12 per Martinez, i 5 per Motta, al cui posto gioca un diciottenne scandinavo preso per rimpolpare la Primavera, anche i 10 per Pepe e i 5,6 per Rinaudo non sono noccioline. Col risultato di dover ricorrere ad altre operazioni, questa volta giustificate ma pur sempre onerose, per assicurarsi Aquilani, il cui riscatto dal prestito appare scontato, e Quagliarella, fermato dalla sfortuna ma sino a quel momento il solo vero affare della Juventus, nel rapporto qualit&agrave;-prezzo. Poi gli infortuni a catena hanno costretto a reclutare in fretta e furia Toni, rientrato ai box in modo altrettanto rapido, e ad avviare altre operazioni, fra le quali la caccia all&rsquo;attaccante Floro Flores (poi finito al Genoa), anche questa avversata da una tifoseria afflitta da insuperabile mania di grandezza.  Avevo avuto occasione di sostenerlo in passato, ai tempi della cacciata di Ranieri a furor di popolo (ancora!). Se si vuole tutto e subito, &egrave; facile ottenere niente e dover ricominciare tutto daccapo, a ogni stagione, con colpi micidiali assestati al bilancio. Lo dimostra anche la parabola dell&rsquo;Inter morattiana, che ha cominciato a vincere quando ha abbandonato la politica della cicala, delle spese allegre e puramente ornamentali o mediatiche, per assemblare pazientemente, un pezzo dopo l&rsquo;altro, una formazione equilibrata e tatticamente funzionale.  Cos&igrave; la Juventus deve respingere con fermezza la tentazione di un nuovo repulisti, mantenere il buono che la stagione ha offerto, alzare la qualit&agrave; dei reparti pi&ugrave; deboli (gli esterni difensivi non valgono quelli dei diretti concorrenti, per dirne una, e l&rsquo;attacco va corposamente rimpolpato, non si pu&ograve; vivere in eterno del solito mirabolante Del Piero). Non baster&agrave; forse per vincere subito, ma sar&agrave; un passo in avanti, in controtendenza con la sindrome del granchio degli ultimi anni vissuti pericolosamente.

Juventus: la fatica di crescere

Hanno fatto molto discutere in questi giorni le parole di Gigi Del Neri al termine della partita di domenica con la Samp. &laquo;Lo scudetto se lo giocano altre squadre&raquo; ha detto l'allenatore della Juve, che ha poi corretto in parte il significato di quelle dichiarazioni.  Era un bisogno umanissimo di mettersi al riparo dalle critiche che gli pioveranno addosso, specie se la Juve dovesse continuare a essere quella delle prime partite di campionato. Ma &egrave; stata una prova di debolezza, di arrendevolezza. E il cortese Gigi, da me intervistato non pi&ugrave; tardi di agosto, deve sempre ricordare che Torino non &egrave; Genova o Bergamo e che nulla gli verr&agrave; risparmiato, nemmeno di fronte a un atteggiamento prudente da parte sua. La Juve non &egrave; una squadra qualunque, ma la pi&ugrave; amata dagli italiani, con dieci milioni di tifosi che aspettano ogni mattina - da cinque anni a questa parte - una risposta al trauma pi&ugrave; grande della loro storia. Per fronteggiarli non servir&agrave; una tattica del momento, ma una strategia con cui procedere dritti, spediti, senza ulteriori tentennamenti. Per quanto muscolare e distorta, Giraudo e Moggi possedevano una visione. Che faccio oggi fatica a scorgere in questa idea di provincia trapiantata nella metropoli.  Keynes istruiva sul fatto che nel lungo periodo saremo tutti morti ed &egrave; quindi inutile ragionare troppo in l&agrave;. A Del Neri e Marotta non verr&agrave; mai dato il tempo di cui potevano godere alla Samp. &Egrave; una questione di durata del mandato. Al Chievo o all'Atalanta si pu&ograve; progettare, raccogliendo risultati dopo mesi o anni, alla Juve si deve solo vincere, ancora meglio se contro l'Inter. Gi&agrave; l'idea di giocare stasera in Europa League - cosa che avrebbe inorgoglito alcune delle squadre allenate in passato da Del Neri - per gli juventini &egrave; un'onta, una diminutio.  L'impossibilit&agrave; di aspettare &egrave; acuita, come accennavo prima, dal recente passato. Siamo al quinto campionato dopo Calciopoli, la Juve ha assaporato un terzo e un secondo posto prima di naufragare la scorsa stagione. La cosa pi&ugrave; assurda &egrave; che una squadra arrivata appunto seconda due stagioni orsono, con un centinaio di milioni di euro aggiuntivi (35-40 nella sola bilancia economica di questo mercato), sia nel frattempo arretrata al rango di outsider. Del Neri mostri i denti, i muscoli, il petto, qualunque cosa. Anche negli acquisti per il prossimo mercato, visto che pare essere molto ascoltato.

Juve, Del Neri l'accenda

Il presidente pi&ugrave; importante nella vita di Gigi Del Neri non si chiama Andrea Agnelli, bens&igrave; Paolo Mazza. E ritorna da un passato lontano, dimenticato, quando l&rsquo;attuale allenatore della Juventus era un rude centrocampista della Spal di Ferrara. &laquo;Mazza era un presidente stupendo, pieno di carisma. Aveva fatto parte della famosa commissione per la Nazionale ed era un personaggione, come si dice oggi. Veniva a prendere noi calciatori a casa con la macchina. Pensi: io guadagnavo diecimila lire al mese&raquo;. Quello &egrave; rimasto il calcio preferito di Gigi Del Neri. Non negli aspetti tattici, tantomeno nella preparazione atletica e nella presunta scientificit&agrave; di certi ritiri, bens&igrave; nei valori. Nel legame tra professione e passione. Il 23 agosto saranno 60 anni di vita per questo tecnico dagli occhi azzurri e dai modi genuini, arrivato a sedersi sulla panchina pi&ugrave; calda del Paese dopo la catastrofe dell&rsquo;ultimo anno, disastro che ha spazzato via dirigenza e staff tecnico. Lo aspetta un compito apparentemente ingrato, ma al tempo stesso bellissimo: restituire una Juve credibile ai suoi tifosi. &laquo;Come ha detto lei, il 23 agosto saranno 60 anni, ma direi che &egrave; niente, &egrave; giovent&ugrave;. Mi sento come quando avevo 20 o 30 anni ed ero assorbito dal calcio esattamente come lo sono adesso. Una passione che mi accompagna da sempre. Semplicemente, oggi sono di fronte alla sfida pi&ugrave; importante di tutte&raquo;. Sono in pochi a poter dire di avere iniziato la carriera nell&rsquo;Opitergina ed essere arrivati alla Juventus. &laquo;Ma non &egrave; un regalo. Mi ritengo fortunato, al tempo stesso so di essermi guadagnato ogni cosa, ogni gradino. In realt&agrave; sono partito dalla Pro Gorizia e l&rsquo;anno dopo sono passato al Partinicoaudace, che si fa fatica a pronunciare e che lei probabilmente non sa nemmeno dove si trovi. Poi tantissima C&raquo;. Com&rsquo;era il calcio di sotto? &laquo;Difficile, complicato, da fare spesso con pochi mezzi e molta fantasia. Ma utile e istruttivo: imparare a gestire situazioni diverse, a conoscere giocatori e dunque cervelli uno differente dall&rsquo;altro. Partire dal basso ha qualche svantaggio, ma anche dei vantaggi. Ad esempio abituarti a capire in fretta l&rsquo;ambiente in cui arrivi&raquo;. Vale anche per la Juve di oggi? Il Chievo dei miracoli, il biennio con l&rsquo;Atalanta, la Sampdoria di Champions: Del Neri quale considera il capolavoro professionale? &laquo;Al Chievo mi sono fatto conoscere dal grande pubblico, ma dico la Ternana, senza perdere mai per due anni, vincendo quasi quaranta partite. Per&ograve; fanno crescere anche le esperienze negative, che nel mio caso non sono state cos&igrave; fallimentari come si &egrave; voluto far credere. Parlo di Roma&raquo;. Del Neri &egrave; cambiato molto in questo tragitto? &laquo;Un po&rsquo; s&igrave;, &egrave; inevitabile. Un tempo dialogavo di pi&ugrave; con i giocatori, cercavo maggiormente il confronto. Credo che avvenga in ogni professione: all&rsquo;inizio si &egrave; pi&ugrave; morbidi, poi l&rsquo;esperienza ti insegna a essere risoluto e risolutivo. Una parola in meno non &egrave; mica sbagliato. Quello che per&ograve; mi ha contraddistinto in tutti questi anni &egrave; stata la coerenza del mio percorso, sereno con me stesso&raquo;. Coi giocatori della Juve &egrave; duro? &laquo;No, per&ograve; devono rispettare me e i loro compagni. Vale in ogni spogliatoio. Non pensi che essere alla Juve sia tanto diverso dal guidare l&rsquo;Atalanta o il Chievo o la Sampdoria&raquo;. In giro non le crederanno. &laquo;Qui hai una qualit&agrave; pi&ugrave; importante, ovvio, sono tutti nazionali. Dunque lavori su un materiale migliore. Ma le dinamiche, di gioco e di gruppo, sono analoghe. Glielo dice uno che ha dovuto dimostrare sempre qualcosa in pi&ugrave;&raquo;. Meglio arrivare alla Juve dopo un anno pessimo o farlo in un quadro pi&ugrave; sereno?  &laquo;Meglio adesso, indubbiamente, perch&eacute; ci sono margini di miglioramento. Le dico di pi&ugrave;: meglio essere finiti alla Juventus che non all&rsquo;Inter come &egrave; capitato a Benitez. Vincere di pi&ugrave; a Milano &egrave; impossibile, mentre qui bisogna riabituarsi a farlo, con fatica ma senza ossessioni. Da un certo punto di vista, e torno al punto iniziale, &egrave; pi&ugrave; difficile farsi conoscere quando sei in basso che non adesso che hai tanti campioni in rosa&raquo;. Molti di quei campioni lei dovr&agrave; recuperarli. Troppo facile il riferimento a Felipe Melo e Diego. &laquo;Non mi piace la parola: dovr&ograve; rigenerarli. Ma non &egrave; in discussione la loro tecnica, &egrave; in discussione semplicemente un&rsquo;annata sbagliata. L&rsquo;ultima&raquo;. E le pare poco?  &laquo;Bisogna tornare alla professionalit&agrave; dei giocatori, all&rsquo;orgoglio e alla fierezza di indossare questa maglia. Dobbiamo rappresentare un potere calcistico. E tutti si devono sentire partecipi di ci&ograve; che si fa. La Juventus ha la forza per arrivare al livello dell&rsquo;Inter, il calcio non &egrave; una scienza impossibile. Ma prima di tutto bisogna avere la sicurezza di ci&ograve; che si fa&raquo;. Glielo chiedo direttamente: se il 22 maggio la Juve fosse seconda dietro l&rsquo;Inter, lei sarebbe soddisfatto? &laquo;Le do allora due risposte. Prima: l&rsquo;Inter l&rsquo;ho battuta due volte negli ultimi due anni. Seconda: non mi accontento mai, sono perennemente per il miglioramento. Oggi ho l&rsquo;occasione di farlo bene, nell&rsquo;anno del riscatto&raquo;. L&rsquo;Inter sembra ancora di un altro pianeta. &laquo;L&rsquo;anno scorso sembrava avere gi&agrave; vinto il campionato a dicembre. Invece la Roma le ha preso pi&ugrave; di 10 punti. E chiss&agrave; come sarebbe andata senza il successo della mia Samp all&rsquo;Olimpico. Ci&ograve; dimostra che le distanze si possono anche recuperare&raquo;. Mi dice un buon motivo per avere fiducia in questa Juve? &laquo;La fiducia nella societ&agrave;, che vuol dire presidente, direttore generale, ma anche magazziniere, massaggiatore, addetto stampa, team manager. Quasi tutte le figure sono state cambiate, ma noi nuovi siamo qui per non sfigurare. Ah, dimenticavo: nuovo anche il disegno tattico&raquo;. Impossibile spostarla dal 4-4-2. Ma non rischia di essere limitante un&rsquo;impostazione cos&igrave; netta con i grandi giocatori? &laquo;Ribalti la domanda: pensi a che cosa accadrebbe se riuscissimo ad applicare quello schema con i campioni che abbiamo. Si immagini il divertimento. A questo tendo io. Non si dimentichi neanche che la mia Samp ha avuto una delle migliori difese del campionato e un attacco eccellente. Evidentemente l&rsquo;equilibrio paga&raquo;. Prima parlava della fierezza. Probabilmente non varr&agrave; meno degli schemi di gioco &laquo;La fierezza deve appartenere anche al campione. Insieme alla voglia di calcio. La passione di cui parlavo all&rsquo;inizio per il gioco, per il pallone, quello di anni fa. Deve essere la stessa&raquo;. L&rsquo;ha vista in Del Piero?  &laquo;L&rsquo;ho vista in lui e in altri campioni come Trezeguet. Se non avessero quella passione, diciamo pure quella fame, non reggerebbero i sacrifici&raquo;. Del Piero &egrave; un titolare?  &laquo;&Egrave; un giocatore che deve e pu&ograve; dare il suo enorme contributo tecnico alla squadra. Non ha l&rsquo;obbligo di giocare per forza, ma non &egrave; ancora un dirigente. Se &egrave; a posto, per qualit&agrave; non ha rivali&raquo;. Si &egrave; parlato molto della convivenza impossibile tra Del Piero e Diego. &laquo;Ho detto in conferenza stampa ai suoi colleghi che io gioco con una punta alta e una bassa. Semmai con due alte, ma mai con due basse&raquo;. Perch&eacute; Martinez? &laquo;Ci piacciono giocatori tipici e di ruolo, nel concetto del 4-4-2 che poi deve diventare 4-2-4. Lui garantisce spinta. E nelle grandi squadre c&rsquo;&egrave; l&rsquo;obbligo di abbinare forza e qualit&agrave;. &Egrave; una seconda punta aggiunta&raquo;. Perch&eacute; Bonucci? &laquo;Forza fisica, qualit&agrave;, esperienza, con Chiellini costituisce la coppia del futuro. Non solo della Juventus, ma della Nazionale&raquo;.  Perch&eacute; Storari? &laquo;Perch&eacute; lo conosco: ha esperienza ed &egrave; una sicurezza. Lo ha gi&agrave; dimostrato in questo primissimo scorcio&raquo;.  Perch&eacute; Pepe? &laquo;Attacca bene lo spazio ed &egrave; un grande lavoratore. Ha raccolto il momento giusto riciclandosi in modo totale. Lui &egrave; la dimostrazione precisa dell&rsquo;applicazione&raquo;. Perch&eacute; Motta? &laquo;&Egrave; giovane, ma gi&agrave; con tanti anni di esperienza in Serie A. Ha esordito con Rossi a Bergamo. Mi creda: &egrave; difficile trovare bravi laterali destri&raquo;. Lei ha accennato qualche settimana fa ad alcuni innesti ancora necessari. Ma a oggi, agosto inoltrato, &egrave; soddisfatto della scelta di venire alla Juve? &laquo;S&igrave;, ma il bello deve venire. E verr&agrave; ancora di pi&ugrave; se riuscir&ograve; a fare ci&ograve; che ho in testa&raquo;.

"Non invidio Benitez, il quale non  potr&agrave; migliorare la stagione di Mourinho. mentre qui ci sono dei margini"  la ricetta di Gigi Del Neri &egrave; dura quanto semplice: "dobbiamo ripuntare sulla professionalit&agrave; dei giocatori e sull'orgoglio della loro maglia. Anche i campioni lo devono sentire. Con il 4-4-2 che diventa 4-2-4 potremo divertirci molto". Lo scudetto? "Non corro mai per arrivare secondo"

Meglio essere qui che all'Inter

Il ritorno di un Agnelli, Andrea, &egrave; un indizio. Per arrivare a una prova, ne mancano altri due. Sono passati quattro anni da Calciopoli, l&rsquo;Inter ha preso il volo, la Juventus &egrave; stata costretta a un atterraggio d&rsquo;emergenza: settimo posto, ventisette punti di distacco e quindici sconfitte. La gestione di John Elkann non si &egrave; rivelata all&rsquo;altezza delle esigenze: quattro allenatori in quattro stagioni, (Deschamps, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni), due presidenti, la competenza delegata e bistrattata, troppo potere a Jean-Claude Blanc e troppo poco a colui che venne precettato d&rsquo;urgenza per salvare il salvabile, Roberto Bettega. Poi, improvvisa, la svolta. Andrea Agnelli, Giuseppe Marotta, Gigi Del Neri: una fetta di famiglia e la torta della Samp-Doria (nella speranza che non vada a finire come l&rsquo;Andrea Doria). Elkann e Blanc avevano chiuso con Rafa Benitez: fu il nuovo corso, cos&igrave; risulta, a bloccare l&rsquo;operazione. Qualcuno ci ha letto la longa manus di Antonio Giraudo, in attesa, magari, di un Fabio Capello non pi&ugrave; stella cometa dal presepe inglese. Del Neri &egrave; un artigiano fecondo e generoso, che non ha mai lottato per lo scudetto, nemmeno nel fuggevole bivacco di Roma-Trigoria. Ha poche idee, ma chiare. Sempre meglio che molte, ma confuse. Il suo credo resta, nei secoli, il 4-4-2. Di qui, le mosse di mercato, da Pepe a Martinez, passando per Bonucci e Lanzafame. Marotta non riesce a vendere, e questo &egrave; il problema di fondo. Negli anni post-Calciopoli, la Juventus ha sempre perseguito mercati di quantit&agrave; pi&ugrave; che di qualit&agrave;, timorosa di dedicare troppi soldi a troppo pochi (come, per esempio, sugger&igrave;va Didier Deschamps: al diavolo i parametri zero, datemi David Villa, Malouda e Xabi Alonso, e poi mi arrangio io). Con il risultato di sperperarne molti: succede, quando non recluti esperti del ramo.Il ritorno di un Agnelli, Andrea, &egrave; un indizio. Per arrivare a una prova, ne mancano altri due. Sono passati quattro anni da Calciopoli, l&rsquo;Inter ha preso il volo, la Juventus &egrave; stata costretta a un atterraggio d&rsquo;emergenza: settimo posto, ventisette punti di distacco e quindici sconfitte. La gestione di John Elkann non si &egrave; rivelata all&rsquo;altezza delle esigenze: quattro allenatori in quattro stagioni, (Deschamps, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni), due presidenti, la competenza delegata e bistrattata, troppo potere a Jean-Claude Blanc e troppo poco a colui che venne precettato d&rsquo;urgenza per salvare il salvabile, Roberto Bettega. Poi, improvvisa, la svolta. Andrea Agnelli, Giuseppe Marotta, Gigi Del Neri: una fetta di famiglia e la torta della Samp-Doria (nella speranza che non vada a finire come l&rsquo;Andrea Doria). Elkann e Blanc avevano chiuso con Rafa Benitez: fu il nuovo corso, cos&igrave; risulta, a bloccare l&rsquo;operazione. Qualcuno ci ha letto la longa manus di Antonio Giraudo, in attesa, magari, di un Fabio Capello non pi&ugrave; stella cometa dal presepe inglese. Del Neri &egrave; un artigiano fecondo e generoso, che non ha mai lottato per lo scudetto, nemmeno nel fuggevole bivacco di Roma-Trigoria. Ha poche idee, ma chiare. Sempre meglio che molte, ma confuse. Il suo credo resta, nei secoli, il 4-4-2. Di qui, le mosse di mercato, da Pepe a Martinez, passando per Bonucci e Lanzafame. Marotta non riesce a vendere, e questo &egrave; il problema di fondo. Negli anni post-Calciopoli, la Juventus ha sempre perseguito mercati di quantit&agrave; pi&ugrave; che di qualit&agrave;, timorosa di dedicare troppi soldi a troppo pochi (come, per esempio, sugger&igrave;va Didier Deschamps: al diavolo i parametri zero, datemi David Villa, Malouda e Xabi Alonso, e poi mi arrangio io). Con il risultato di sperperarne molti: succede, quando non recluti esperti del ramo. Coloro che, astemi clandestini, privilegiano il bicchiere mezzo pieno, si aggrappano allo slogan, peraltro plausibile, che &laquo;peggio della scorsa stagione non si pu&ograve;&raquo;. Preferisco iscrivermi al partito del bicchiere mezzo vuoto, e cio&egrave; che la distanza dall&rsquo;Inter &egrave; ancora netta, e pure dalla Roma, visti gli acquisti di &laquo;Unidebit&raquo; Rosella, da Adriano a Simplicio. I problemi della Juventus riguardano i veterani che Marotta non riesce a piazzare, il bilancio in rosso causa trasloco dalla Champions League alla Europa League e lo spettro del dualismo Diego-Del Piero. Il tecnico &egrave; stato chiaro: o l&rsquo;uno o l&rsquo;altro. Condivido. Non credo pi&ugrave; al Diego di Brema - o almeno, ne ho perso il ricordo - ma non credo neppure che il brasiliano si sia ridotto al pugno di cenere dell&rsquo;ultimo torneo: per questo, lo terrei. Del Piero va per i 36. &Egrave; una pedina cruciale, che giochi o no, negli equilibri precari di uno spogliatoio che, grazie anche ai suoi silenzi, si era sbriciolato. Da un capitano della sua esperienza ci si attende non solo o non tanto un passo indietro, ma soprattutto un lavoro febbrile di leader che prescinda dall&rsquo;impiego. Proprio la figura che &egrave; mancata, sciaguratamente, alla Juventus. Pure agli ultr&agrave; bisogner&agrave; parlare chiaro. Certi cori, certi arsenali e certi atteggiamenti non sono pi&ugrave; tollerabili. Nella classifica del fair-play, la Juventus &egrave; finita in cantina: un segnale allarmante. Piazza pulita dei barbari: la nuova Juventus e il nuovo stadio dovranno appartenere alle famiglie, non pi&ugrave; agli avanzi di galera. Oggi, la squadra &egrave; da zona Champions. Inutile illudere i tifosi. Andrea Agnelli ci ha messo la faccia e (spero ardentemente) non la facciata. Calciopoli, le cui code si profilano burrascose, non pu&ograve; o non deve rappresentare, sul piano tecnico e tattico della rifondazione, un alibi. Pi&ugrave; ci si allontana dal 2006, pi&ugrave; balza all&rsquo;occhio il poco che &egrave; stato percorso, e il molto che resta. I paragoni con la Sampdoria si sprecano. A tutt&rsquo;oggi, la Juventus ha reclutato giocatori di stoffa ma nessuno in grado di fare la differenza, o di avvicinarla prepotentemente alla tiranna interista. Il fiasco mondiale ha contribuito a dilatare quel senso di decadenza che accompagna la squadra, massima fornitrice della Nazionale di Marcello Lippi. Viceversa, proprio adesso bisogna reagire, scacciare i fantasmi, cancellare gli equivoci. E tenere d&rsquo;occhio il processo di Napoli senza lasciarsi distrarre. Il mercato chiude il 31 agosto. La Signorina Juventus non deve avere paura di attraversare la strada. Lo scorso campionato era tutto un brivido: persino col Siena. Delle due, l&rsquo;una: o cambia strada o cambia lei. Meglio che cambi lei.

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