Poco pi&ugrave; di due mesi, non due anni, fa il Napoli di Sarri con la media di 3,75 gol a partita aveva dal punto di vista statistico il miglior attacco d&rsquo;Europa e non si trovavano pi&ugrave; gli aggettivi per esaltarlo. Dopo la sconfitta con la Juventus, l&rsquo;eliminazione dalla Champions e lo 0-0 con la Fiorentina, di sicuro la peggior partita (in particolare nel primo tempo) giocata quest&rsquo;anno al San Paolo, adesso sembra che Sarri abbia a disposizione dei dilettanti e la stagione sia da buttare, nonostante lo scudetto sia a un solo punto di distanza. In campionato Insigne non la mette dalla partita con il Milan del 18 novembre, Mertens e Callejon addirittura da quella con il Sassuolo di fine ottobre: con questi numeri spiegare il rallentamento della marcia del Napoli &egrave; quasi banale, quasi come analizzare la rosa a disposizione di Sarri. Il quale ultimamente si sta lamentando di tutto, dal calendario al clima, ma non dell&rsquo;operato di De Laurentiis. Non lo pu&ograve; fare, perch&eacute; nel caso dovrebbe in parte prendersela anche con s&eacute; stesso.  Certo nessuno poteva prevedere la rottura del crociato di Milik, ma non si capisce come mai si possa parlare di prestito al Chievo a gennaio quando gli altri giocatori offensivi a disposizione sono il fumoso Ounas, ancora da inquadrare, e il declinante Giaccherini, praticamente mai in campo in questa stagione. Con tutto il rispetto per Zielinski, bravo in mezzo al campo ma che come esterno d&#39;attacco &egrave; un ripiego. Non esiste alcuna logica sportiva, per i prestiti con obbligo di riscatto (quindi cessioni) di Zapata alla Sampdoria e di Pavoletti al Cagliari: in nessuno dei due casi stiamo parlando di Cristiano Ronaldo, ma di sicuro di giocatori che potrebbero stare dignitosamente in panchina anche nella Juventus. Insomma, per una squadra impegnata anche in Europa non &egrave; soltanto senno di poi. Gli allenatori sono importanti, ma non &egrave; che Sarri possa segnare da solo o dominare la fascia sinistra come faceva Ghoulam: la stagione del Napoli ha cambiato verso nel momento stesso in cui l&rsquo;algerino si &egrave; fetto male alla mezz&rsquo;ora della partita contro il Manchester City, il primo novembre al San Paolo: da l&igrave; in poi, al di l&agrave; della rimonta e della vittoria degli uomini di Guardiola, &egrave; stato un calando continuo, con la fiammata contro lo Shakhtar resa inutile dai risultati dell&rsquo;ultima giornata ma soprattutto dalla sufficienza con cui Sarri ha affrontato l&rsquo;inizio del girone di Champions.  A tutti i giornalisti fa piacere credere che il calcio sia una scienza, perch&eacute; si sentono emotivamente (e fisicamente&hellip;) pi&ugrave; vicini agli allenatori che ai giocatori, per&ograve; in campo anche nel 2017 continuano ad andarci i giocatori. Fatichiamo a credere che De Laurentiis abbia sabotato il suo allenatore per una trentina di milioni (mettiamoci dentro anche Strinic) di euro che poi sono quasi il danno per l&#39;uscita prematura dalla Champions, &egrave; anzi probabile che lo abbia assecondato ben contento di non svenarsi. Sarri, come Spalletti e altri allenatori, lavora meglio con una rosa limitata e dalle gerarchie chiare: strategia che paga dividendi solo quando rimangono tutti sani. Nessuno pensava di alzare la Champions e quindi nulla &egrave; perduto, due della classe media che si pu&ograve; acquistare a gennaio saranno sufficienti. Per&ograve; questo calo non &egrave; colpa dei poteri forti: anzi, potremmo dire che &egrave; colpa di poteri deboli. 

<p>Il calo della squadra partenopea &egrave; figlio di un calo fisico e dell&#39;infortunio di Ghoulam, ma anche di scelte estive fatte dall&#39;allenatore e avallate dal presidente. O viceversa, &egrave; lo stesso...</p> 

Napoli, i limiti della rosa e quelli di Sarri

Per il Napoli si sta chiudendo un campionato straordinario. Arrivare secondi dietro l'imbattibile Juve di Conte &egrave; un risultato davvero eccezionale, forse nemmeno compreso per intero, che rimette le lancette dell'orologio ai tempi di Maradona. Ma allora la squadra azzurra era la pi&ugrave; forte di tutte, se non altro perch&eacute; possedeva il migliore giocatore di ogni tempo, mentre stavolta ha superato una concorrenza spesso pi&ugrave; attrezzata. Lo dico sapendo di attirarmi qualche contestazione: la rosa della Roma non &egrave; inferiore a quella dei partenopei.  Ma il duro viene adesso, nel senso che sar&agrave; difficile confermare questo traguardo, proprio nel momento in cui la piazza chiede invece l'ultimo salto: lo scudetto. Per questo capisco e comprendo i turbamenti di Walter Mazzarri. I rischi, dopo un triennio che vede il Napoli subito dietro Milan e Juve nel punteggio complessivo, sono in aumento, tenuto conto che ci sar&agrave; da onorare la Champions. Pericoli crescenti se Aurelio de Laurentiis, il presidente che un anno fa ha venduto Lavezzi senza di fatto rimpiazzarlo (Insigne? Pandev? Suvvia), non far&agrave; il grande sforzo economico che impone l'ultimo salto. Mi disse un giorno Giovanni Trapattoni: &laquo;C'&egrave; pi&ugrave; distanza tra primo e secondo posto che non tra secondo e ventesimo&raquo;. Paradossale, ma non troppo.  Molto probabile che Edinson Cavani venga ceduto all'estero, magari per i 60 milioni di clausola. A quel punto bisogner&agrave; capire se la societ&agrave; sar&agrave; disponibile a reinvestire tutta la cifra. Ipotesi che potrebbe spingere Mazzarri a giocarsi la sfida. O se invece cercher&agrave; la linea del controllo economico, che in questi anni ne ha fatto il club pi&ugrave; virtuoso e redditizio di tutta la Serie A. Da questa risposta, io credo, dipender&agrave; la decisione finale di Mazzarri, comunque stanco e bisognoso di riposo.  Io non mi farei mai sfuggire un allenatore cos&igrave;. Simpatico o antipatico, non conta niente. &Egrave; l'allenatore che ha preso il Napoli in zona retrocessione e che da tre anni lo tiene al vertice del calcio italiano. Ha raddoppiato il numero di reti di Cavani da un anno all'altro, ha migliorato ogni pedina dello scacchiere, da Paolo Cannavaro ad Hamsik, da Campagnaro a Pandev, semplicemente impresentabile nell'ultimo periodo di Inter. Per il bene del Napoli, cui tengo come tanti altri per la passione di una piazza unica, vorrei che Mazzarri rimanesse. Ma stavolta bisogna convincerlo con i fatti e non pi&ugrave; con i rinvii, i progetti futuribili invece che presenti.  Ultima cosa: se Mazzarri dovesse fermarsi, punterei su due allenatori: Montella (ma &egrave; difficile, ha il contratto con la Fiorentina) o il cagliaritano Lopez, un duro per uno spogliatoio non facile da governare.  twitter@matteomarani

Napoli, Mazzarri deve restare

Il bilancio del Napoli &egrave; in nero, di sicuro sul piano contabile (&egrave; da sei stagioni che la societ&agrave; di De Laurentiis chiude il bilancio in attivo, lo scorso 30 giugno l'utile &egrave; stato di circa 15 milioni) mentre non lo &egrave; ancora sul piano sportivo nonostante il secondo posto in campionato adesso a serio rischio possa mette a rischio l'accesso diretto alla Champions League e in definitiva tutto un progetto che &egrave; partito dalla serie C e che non ha fallito alcuna tappa intermedia. In altre parole, un altro anno senza Champions League significherebbe la cessione di Cavani a chiunque possa mettere sul piatto i famosi 63 milioni (al massimo quattro club in tutto il mondo: Manchester City, PSG, Chelsea e Real Madrid) e la fine dell'era Mazzarri per ripartire da un allenatore che consideri il Napoli un punto d'arrivo e non una tappa intermedia verso la panchina di una delle tre grandi tradizionali (al presidente piacciono Allegri e Pioli, ma &egrave; presto per parlarne). L'ultimo mese e mezzo, con una sola vittoria, ha detto che lo scudetto &egrave; della Juventus e che la crisi, fisica e di gioco, pu&ograve; non essere finita. Alla fine l'avere snobbato l'Europa League, come &egrave; avvenuto per volont&agrave; precisa di Mazzarri (anche se il Viktoria Plzen l'avrebbero superato anche le riserve degli azzurri, impegnandosi), non si &egrave; rivelato una grande pensata. Al di l&agrave; delle dichiarazioni, perch&eacute; a posteriori tutti avevano e avevamo capito tutto, rimane il fatto che la somma dei valori dei singoli del Napoli &egrave; l'unica, in Italia, che possa essere paragonata a quella della Juventus. Peggio dei bianconeri in difesa, leggermente inferiore a centrocampo, leggermente superiore come numero di alternative in panchina, potenzialmente superiore in attacco non fosse altro che per la presenza di quel fuoriclasse che Conte vorrebbe.  E prima di vivisezionare la crisi di Cavani, che non segna da otto partite (Europa compresa), bisognerebbe anche ammettere che il 3-5-2 &egrave; uguale per tutti ma Conte sa trasmettere ai suoi giocatori qualcosa in pi&ugrave; in occasione delle partite che non si devono sbagliare. Il Napoli rimane l'unica fra le grandi italiane ad essere gestita come il mitico Bayern Monaco e senza nemmeno avere lo stadio di propriet&agrave; (che nella terra promessa del merchandising tarocco avrebbe importanza relativa, al di l&agrave; dei costi da sostenere). Non ha molto senso rimpiangere un Lavezzi ceduto al massimo del suo valore di mercato e prendersela con una campagna acquisti che ha portato a Napoli giocatori di classe media come Gamberini e Behrami, dando finalmente una chance a casa sua a Lorenzo Insigne. Per molti aspetti questo era l'anno buono per il terzo scudetto, il primo del dopo-Maradona. Non &egrave; andata bene ed &egrave; difficile, considerando le situazioni di Cavani e Hamsik, che l'anno prossimo possa andare meglio.

Il nero di Napoli

I due punti tolti al Napoli per il tentato illecito di tre campionati fa (si parla della partita con la Sampdoria del maggio 2010), in attesa degli inevitabili sconti nei successivi gradi di giudizio, stanno scatenando quel dibattito sulla responsabilit&agrave; oggettiva e in generale sulla giustizia sportiva che conquista qualche pagina solo quando ci sono di mezzo squadre mediaticamente importanti. Tanto per non andare lontani, il Torino e la stessa Sampdoria si sono beccate il loro meno due, poi diventato meno uno in quanto 'patteggiato', senza che si parlasse di ricorsi alla giustizia ordinaria e richieste di risarcimento nei confronti della Figc. Senza improvvisarci avvocati di nessuno, la domanda da bar &egrave; una sola: &egrave; giusto pagare tre anni dopo (o addirittura quattro, se il Napoli perder&agrave; la qualificazione alla Champions League proprio per quei due punti) per un fatto, diamo per scontato che sia avvenuto, che al club penalizzato non ha portato 'sul campo' alcun vantaggio? Le colpe di Gianello, terzo portiere supersqualificato (3 anni e 3 mesi, di fatto una radiazione), di Cannavaro e Grava (sei mesi per entrambi, per omessa denuncia), non hanno prodotto alcun vantaggio nemmeno per il Napoli dell'epoca: allora perch&eacute; &egrave; giusto che il Napoli di adesso paghi? Domanda retorica: i club dovrebbero dotarsi di un servizio di intelligence per controllare le frequentazioni private dei propri giocatori? Retorica perch&eacute; tutti i club di serie A, con varie gradazioni di invasivit&agrave; e di illegalit&agrave; (ingaggiare un investigatore privato si pu&ograve;, spiare le conversazioni telefoniche no: chi vi viene in mente?), controllano i propri giocatori. Finita questa tornata di appelli (Corte Federale e Tnas), Abete fra un'intervista nell'intervallo e l'altra dovr&agrave; trovare il tempo di cambiare questa regola, che con questi tempi della giustizia produce danni che sarebbero ingiusti anche con sentenze per direttissima. A meno che lo spirito della legge non sia proprio questo: controllate i vostri tesserati, perch&eacute; alla fine pagherete voi in ogni caso. Magra la figura di Palazzi, ormai non pi&ugrave; procuratore federale ma suggeritore (non ascoltato) di sentenze, ma se De Laurentiis parla di complotto pu&ograve; farne una anche peggiore. Non &egrave; un poveraccio, si metta d'accordo con gli altri quattro o cinque club che tengono in piedi la baracca e faccia cambiare le regole. Diversamente &egrave; giusto che paghino lui e il Napoli per le colpe personali di Cannavaro e di Gianello.

Chi paga per Cannavaro

Solo Juventus e Napoli possono arrivare prime in un campionato medocre in cui almeno altre otto squadre possono invece ambire ad arrivare terze contando sui disastri delle avversarie. Non lo diciamo per la classifica attuale che le vede appaiate in vetta, ma perch&eacute; fra le squadre di un certo livello sono state quelle che in estate hanno cambiato in meno e sempre nell'ottica del rinforzarsi. Discorso scontato per la squadra campione d'Italia, ma non per quella di De Laurentiis che solo cinque mesi fa dopo l'ubricatura della Champions League (risultando non inferiore al Chelsea...) sembrava sull'orlo dello smantellamento con i contemporanei mal di pancia di Mazzarri, Cavani, Hamsik e Lavezzi. Poi De Laurentiis, complice il fatto che fra i club di livello almeno decente il Napoli sia l'unico insieme all'Udinese con il bilancio in attivo, si &egrave; voluto regalare un altro tentativo da scudetto e a partire &egrave; stato solo un Lavezzi che umanamente non era pi&ugrave; gestibile e che &egrave; stato ceduto all'inevitabile Paris Saint Germain massimizzando l'incasso. Sono per&ograve; arrivati giocatori di qualit&agrave; medio-alta come Behrami, Gamberini, El Kaddouri, Mesto. E' stato riscattato Pandev, &egrave; tornato un futuro fenomeno come Insigne. Insomma, tutto si pu&ograve; dire di questo Napoli, tranne che sia una sorpresa. Forse la Juventus ha qualcosa in pi&ugrave; come livello medio dei singoli, ma non ne saremmo sicuri. Il Napoli per&ograve; ha l'ultimo vero top player (inteso come uomo mercato che tutto il mondo vuole) d'Italia, cio&eacute; Edinson Cavani. Migliorata la qualit&agrave; della rosa, a livello di gioco non vediamo grandi differenze con l'anno scorso. Ottima difesa, anzi fase difensiva vista la partecipazione dei centrocampisti e spesso anche delle punte, grandi fiammate atletiche anche lunghe cinque minuti, grandi pause, qualche difficolt&agrave; contro chi aspetta e si difende come &egrave; stato ad esempio contro il Catania. Pi&ugrave; facile battere squadre come Lazio, Inter o Milan che maramaldeggiare contro chi lotta per la salvezza. Di sicuro se c'&egrave; un anno buono per il terzo scudetto della storia partenopea, quell'anno &egrave; proprio questo.

Cavani, l&rsquo;ultimo dei fenomeni

Il primo successo del Napoli dopo Maradona, fa impressione dirlo, &egrave; arrivato al termine di una stagione di grandissime illusioni (anche fondate, visto che negli ottavi di finale di Champions si &egrave; andati a un passo dall'eliminare il Chelsea futuro campione d'Europa) e di delusioni cocenti come il terzo posto in campionato sfilato dall'Udinese. E proprio per questo &egrave; ancora pi&ugrave; bello, visto che se questo gruppo rimarr&agrave; insieme la quarta Coppa Italia della storia partenopea sar&agrave; solo l'inizio di un ciclo che almeno in Italia promette benissimo. La chiave &egrave; secondo noi questa: De Laurentiis &egrave; a uno o due giocatori dallo scudetto, il bilancio &egrave; in attivo (unico fra quelli dei grandi club italiani), a partire da Lavezzi tutti i giocatori scontenti hanno molto mercato e quindi con i soldi in mano possono essere rimpiazzati facilmente. Senza straparlare di 'progetto', dopo avere preso in mano il club in serie C mollare adesso sarebbe dal punto di vista sportivo un delitto. Difficile che le milanesi o le romane si rinforzino di molto, se parlano di acquisto low cost gi&agrave; a maggio, pi&ugrave; probabile che lo faccia la Juventus se riuscir&agrave; a mettere le mani su un grande attaccante, in ogni caso per il Napoli l'entrata in pianta stabile nelle tre elette non dovrebbe essere un problema. Con conseguenti benefici finanziari ma soprattutto di immagine, perch&eacute; una certa fascia di giocatori oltre ai soldi pretende la partecipazione alla Champions League e quindi in questo senso la stagione 2011-12 &egrave; stata buttata. Ma il futuro lavora a favore del Napoli, grazie anche a un lascito dell'era Maradona (si torna sempre l&igrave;, fra l'altro l'ultima Coppa Italia era stata vinta nel 1987 insieme allo storico primo scudetto) che De Laurentiis non ha mai sottovalutato, da conoscitore del mercato televisivo quale &egrave;: insieme alle tre grandi solite, il Napoli &egrave; la squadra italiana che raccoglie un numero di tifosi significativo anche fuori dal proprio bacino d'utenza geografico, oltre che all'estero. E non parliamo solo di napoletani emigrati, ma di simpatia raccolta un po' in tutto il Sud Italia a prescindere dalle regioni. E' impensabile che nel mondo del 2012 De Laurentiis si presenti a Barcellona con un assegno da 200 milioni di euro e compri Messi, ma per certi versi dalla rinascita e da questa Coppa Italia pu&ograve; nascere qualcosa con basi molto pi&ugrave; solide di quella memorabile squadra degli anni Ottanta. Piena di ottimi giocatori, da Bagni a Careca, ma fondamentalmente identificabile con un fenomeno. Per questo pensiamo che la Coppa Italia sia solo un inizio. E peccato per quel gol di Ivanovic.      Stefano Olivari, 21 maggio 2012

Napoli solo all'inizio

Da stamani sento tifosi napoletani lamentarsi per il rigore fatto ribattere ieri sera dall&rsquo;arbitro Tagliavento nel match contro la Juve. Il primo, per la cronaca, &egrave; stato il presidente De Laurentiis, che per non farsi mancare nulla nella denuncia del complotto ha anche teorizzato un tentativo di corruzione degli sceicchi del City nei confronti del Villarreal. Per me Tagliavento ha fatto bene ad annullare il penalty di Hamsik. Al momento di calciare, c&rsquo;erano due compagni in area, con Inler piuttosto avanzato per cercare l&rsquo;eventuale ribattuta. La replica dei napoletani &egrave; che se si applicasse il regolamento alla lettera, decine di rigori andrebbero ribattuti. E allora lo si faccia, mi dico. Allo stesso modo, se si trattiene l&rsquo;avversario in area, &egrave; giusto fischiare il fallo. Anche dieci rigori a gara pur di salvare la correttezza di una partita. Tagliavento &egrave; il migliore arbitro italiano, per me superiore persino a Rizzoli. &Egrave; uno che sceglie, che fischia, che decide. Sar&agrave; che non ho mai sopportato i galleggianti, quei direttori di gara che arbitrano secondo compensazione, ma il parrucchiere ternano lo ammiro sin da quando ebbe il coraggio - in una San Siro inferocita e con un Mourinho oltraggioso (ricordate le manette?) - di non farsi influenzare. E di continuare a scegliere secondo coscienza. Averne di fischietti cos&igrave;. La verit&agrave; &egrave; che il rigore - quello dagli undici metri come quello economico o civile - &egrave; la cosa pi&ugrave; urticante nello Stivale. Basta sentirlo evocare per fuggire via. Del resto, fatta la legge trovato l&rsquo;inganno non &egrave; un modo di dire austriaco. Da noi vige ogni volta l&rsquo;interpretazione, l&rsquo;eccezione, il parere degli azzeccagarbugli, anche in canottiera (questa la rubo a Olivari). Per cui la colpa non &egrave; pi&ugrave; di Inler che entra prima in area, trasgredendo (lui, svizzero) la norma, ma di Tagliavento che fa ribattere. Cos&igrave; come non &egrave; colpa dell&rsquo;automobilista incivile che sta al telefonino mentre guida, ma della pattuglia che fa la contravvenzione. Per me Tagliavento ha fatto bene e vorrei sapere se c&rsquo;&egrave; qualcuno che la pensa come me. Per il resto &egrave; stata una bellissima partita, aperta, combattuta e divertente per tutti i 90 minuti, con un Napoli sceso nel finale ma fortissimo sinch&eacute; le gambe hanno retto. Ce ne fossero di serate cos&igrave; piacevoli. E invece parliamo solo dell&rsquo;arbitro.  [poll id="6"] 

Il rigoroso Tagliavento

Tra i piccoli inconvenienti della professione, c&rsquo;&egrave; quello di ammettere i propri sbagli. Io ne ho compiuto uno con Aurelio de Laurentiis, focosissimo presidente del Napoli. Quando il produttore dei cinepanettoni si &egrave; affacciato sul mondo del calcio, ne ho colto quasi unicamente gli aspetti pittoreschi, in taluni casi - si pu&ograve; dire? - cafoni. Non mi piaceva la rudezza dei rapporti, da vecchio padrone del vapore che la domenica pomeriggio si sentiva autorizzato a sputare qualunque sentenza contro i propri dipendenti. Come dimenticare gli attacchi, mi raccontano persino fisici, al mite Edy Reja? O come scordare il modo brutale con cui liquid&ograve; Pierpaolo Marino due anni fa? Sulla vicenda aveva ragione, il Napoli era al di sotto degli investimenti fatti, ma i modi me lo rendevano antipatico, cos&igrave; come quel linguaggio criptico insopportabile negli intervistati. E invece l&rsquo;errore era mio: un giudizio professionale non dovrebbe mai basarsi su sensazioni o sentimenti. Oggi, 13 luglio 2011, De Laurentiis &egrave; il vero re del mercato, il pi&ugrave; abile al pari del sosia laziale, intendo quel Claudio Lotito sul quale - almeno questo - rivendico di avere visto bene in anticipo sui pregiudizi di molta stampa. Inler, Britos, Santana, Donadel, Dzemaili: nessuno ha comprato tanto. Ma De Laurentiis ha fatto di pi&ugrave;, in queste settimane, ha trasformato una societ&agrave; a rischio saccheggio in un fortino in grado di respingere gli attacchi. Pare che persino il Milan e Raiola abbiano iniziato a temere che Hamsik non si muova pi&ugrave;. Nemmeno l&rsquo;Inter riusc&igrave; a resistere all&rsquo;assalto del solito Mino per Ibrahimovic. Tornando a noi, de Laurentiis ha resistituito una dignit&agrave; enorme al Napoli, contribuendo a riportarla tra le grandissime piazze del calcio italiano ed europeo. Con modi bruschi, spesso imbevuti di folklore, ma efficaci. La maschera a Inler era una marchetta spudorata per uno sponsor, eppure con il suo carico di volgarit&agrave; ha conquistato le aperture dei giornali. I risultati non bastano mai a rendere forte un club, serve anche una politica societaria, una visione, una strategia. E De Laurentiis la possiede, esattamente come la possedeva Franco Sensi negli anni d&rsquo;oro della Roma, nel suo disegno di andare contro il potere del nord. O come la possiede il ricordato Lotito, primo moralizzatore del calcio. Quando il presidente del Napoli insiste sul prestigio di giocare nella sua squadra, sullo spirito napoletano che deve campeggiare su tutto, non si ingrazia solo la tifoseria, ma manda anche un messaggio esplicito alla concorrenza. Napoli non &egrave; terra di razzia, come spesso ha fatto la politica sulla citt&agrave;. Dal laurismo siamo al delaurentismo. Pare funzioni.

Napoli, De Laurentiis ha vinto

E vai con il teatrino. Ogni estate c&rsquo;&egrave; un pupazzo, magari con la cresta e gli occhi cerulei come Marek Hamsik, pronto a farsi muovere dal principe dei pupari, al secolo Mino Raiola, lo specialista dei lavori difficili. Nessuno muove i fili come lui. I fatti sono noti. Hamsik ha scelto il miglior cecchino su piazza per liberarsi del Napoli e raggiungere l'agognato Milan, come ha ammesso nell&rsquo;intervista dell&rsquo;altro giorno alla Pravda del suo Paese. Se qualcuno pensa che l&rsquo;uscita sia stata casuale, e non frutto di una strategia suggeritagli via telefonino, avvisatelo che Babbo Natale non esiste. Il puparo se la ride, una risata grassa e sconcia come quella di Mangiafuoco. Sa come si fa con il servilismo dei giornali e la fame dei dirigenti, provato da estati ad alte temperature. Il mal di pancia di Ibrahimovic anticip&ograve; la partenza (benedetta, visti i risultati) di Zlatan dall&rsquo;Inter, stavolta il copione &egrave; lo stesso, con il balletto di Hamsik destinato sin da ieri a scatenare la rabbia dei tifosi napoletani. Ha mentito due volte, Pinocchio, coi tifosi e coi dirigenti ai quali assicurava di volere rimanere. Il fatto che De Laurentiis parli di proposta indecente significa che purtroppo anche lui ha iniziato a fissare un prezzo. Qui non c&rsquo;&egrave; cuore, non ci sono aspetti morale, c&rsquo;&egrave; solo il Dio Denaro, che Raiola - figlio di pizzaioli italiani emigrati in Olanda, cinque lingue parlate tutte male - officia meglio di qualunque altro collega. Gli ho parlato un'unica volta in vita mia: &egrave; sveglio e persino spiritoso. Doppiamente pericoloso. Persino i Caliendo di un tempo fanno tenerezza di fronte ai nuovi agenti. Quando si &egrave; saputo che sarebbe stato Raiola il procuratore di Hamsik, tutti abbiamo subito pensato al trasferimento del giocatore al Milan, visto che con Galliani fu suggellato il rientro in Italia di Ibra e, a gennaio, lo sbarco di Van Bommel a Milanello. Questi anni di mercato povero, scalcinato e spietato hanno eletto Raiola come paradigma del nuovo, come faro della categoria. Ragazzi, che allegria, che spettacolo. Balotelli, Hamsik, Ibrahimovic sono tutti strumenti in mano sua. Senza fare prigionieri, ha ucciso ogni sentimento. &Egrave; molto moderno, ma &egrave; anche molto squallido.  A proposito di mercato, da venerd&igrave; 1 luglio esce con Corriere dello Sport o Tuttosport la guida GS extra Calciomercato preparata da noi. 500 nomi, con carriere, valori, ingaggi, caratteristiche e tutto il resto. In un mercato pi&ugrave; virtuale che reale, &egrave; uno strumento utile almeno a conoscere bene i calciatori.

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